Da quando il tabacco è stato importato in Europa dal Nuovo Mondo, il modo di fumarlo – copiato dai nativi americani – è stato piuttosto vario.
Se quasi subito si è utilizzata la Pipa, sono stati fatti diversi “esperimenti” che piano piano hanno dato vita ai modi in uso anche oggi. In area orientale, per esempio, si utilizza ancora il narghilè, un sistema piuttosto elaborato ma poco comodo. Il tabacco che brucia in un fornello, perlopiù di ceramica, si raffredda in una camera di compensazione riempita a metà di acqua; il fumo poi viene aspirato da un lungo cannello flessibile. Un’esperienza interessante che però risulta piuttosto complessa e decisamente scomoda.
Fin dal XVI secolo la Pipa è risultata la più adatta al fumo.
Anche Bach la utilizzava tanto che ha scritto un lied a lei dedicata. Ma nel Settecento le classi nobiliari la sostituirono con il tabacco da fiuto. Infatti consideravano il fumo della Pipa una pratica piuttosto plebea.
All’epoca i materiali utilizzati erano molto diversi dagli attuali. I fornelli erano in terracotta, in ceramica, in porcellana, in legno di ciliegio, bosso, pero, palissandro e addirittura di olmo. Famose sono le Pipe di Ulm, di fabbricazione tedesca, che pare – ma la questione è controversa – fossero ricavate dalla radice di questa pianta.
Attualmente le pipe non in radica che sono sopravvissute sono poche. In terracotta sopravvivono le “chioggiotte”, tipiche dei pescatori del delta del Po, che oggi sono poco più che un souvenir per turisti. Qualche artigiano ne produce ancora di ciliegio, palissandro o leccio, mentre i tabaccai più forniti commercializzano abitualmente quelle in “schiuma di mare” o in gesso. Di facile reperibilità sono anche quelle in pannocchia; pochissimo costose, molto leggere, quasi insapori; vale la pena di provarle almeno una volta nella vita. Meglio evitarne l’uso abituale perché sono, per così dire, tutt’altro che longeve.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento ha preso piede l’uso della radica, tanto che la stragrande maggioranza di quelle prodotte e commercializzate oggi sono di questo materiale.
La materia prima è il ciocco radicale dell’Erica Arborea, una pianta molto comune in tutta l’area del Mediterraneo. Si tratta di un arbusto di basso fusto che cresce spontaneo nelle aree vicine al mare, e che molto spesso viene utilizzata anche come pianta ornamentale all’aperto per le sue caratteristiche di resistenza sia al caldo che al freddo e per il fatto che richiede una scarsissima manutenzione.
Il ciocco è l’apparato radicale dalle piante più vecchie, un’escrescenza della radice di cui non si conosce la causa: una specie di tumore del legno. Tuttavia, per le sue caratteristiche di bellezza, resistenza al calore, e compattezza è diventata la materia prima delle pipe più diffuse. I prima ad utilizzarla furono gli artigiani del paesino di Saint-Claude nella regione dell’Alto Jura francese. Pare che la sua “scoperta” sia stata casuale, ma sull’argomento circolano versioni diverse e discordanti.
La radica, una volta lavorata, viene utilizzata per realizzare pipe lisce, sabbiate o rusticate. Le prime sono le più pregiate, specie se l’artigiano riesce a produrre una “fiammata” vale a dire una forma che fa in modo che le venature del legno siano verticali rispetto al fornello. Quando la radica presenta delle imperfezioni, la pipa viene sabbiata: l’effetto esalta le venature del legno creando un effetto estetico di un certo pregio. Le “rusticate” sono invece quelle che vengono “scolpite” in modo da eliminare tutte le irregolarità. Sono di certo meno pregiate ma, con le sabbiate, consigliabilissime per i principianti, in quanto aumentando la superficie esterna si corre meno il rischio di surriscaldarle.