L’anno che sta per terminare ha sconvolto l’America latina che si ritrova senza alcuna certezza,
dalla caduta della sinistra brasiliana alla storica affermazione di un candidato populista di sinistra in Messico, le sorprese hanno superato le conferme (le cui più rilevanti restano il chavismo in Venezuela e il centrodestra filo-statunitense nella confinante Colombia).
Il 2019 metterà alla prova di governo gli ex outsider Jair Bolsonaro e AMLO, Andrés Manuel López Obrador, nei due più popolosi stati del subcontinente mentre Nicolas Maduro e Daniel Ortega dovranno fronteggiare le nuove offensive al ristretto gruppo dell’ALBA, l’Alleanza Bolivariana per le Americhe.
Sventata la sconfitta elettorale alle presidenziali il leader venezuelano spera fortemente che anche Evo Morales ad ottobre possa essere agevolmente confermato alla guida della Bolivia.
Primo in ordine cronologico sarà il piccolo stato di El Salvador ad andare alle urne per le elezioni presidenziali. Il Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale (FMLN) attualmente al governo rischia seriamente di perdere la massima carica istituzionale dopo il tracollo delle legislative e delle amministrative dello scorso anno.
Stando ai sondaggi a giovarne, però, potrebbe essere un ex membro del partito nato dal gruppo guerrigliero e non lo storico avversario liberale dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista (ARENA). Dopo aver rivestito già la carica di sindaco della capitale, infatti, il trentasettenne Nayib Bukele potrebbe replicare l’expolit populista di Obrador.
Tra le nazioni chiamate alle urne ci saranno anche le repubbliche centroamericane di Panama, Guatemala e Belize oltre alla Guyana e a Dominica da non confondere con la più conosciuta Repubblica Dominicana.
Di maggior rilievo saranno certamente le sfide in Uruguay e Argentina. Nel primo dei due Paesi dopo dodici anni al governo la coalizione di centrosinistra sta trovando difficoltà nella scelta del proprio candidato per via della legge elettorale (non sono permessi due mandati consecutivi) e dell’età dei propri leader (l’ottantatreenne Mujica non è annoverabile tra i papabili). Diverso il discorso dell’Argentina che andrà al voto il 27 ottobre, con possibile ballottaggio fissato per il 24 novembre, dove Mauricio Macri non ha ancora sciolto la riserva su una ricandidatura che prima delle immani manifestazioni antigovernative degli ultimi mesi appariva scontata. L’opposizione, divisa nei due rami del Parlamento come nelle elezioni di quattro anni fa, difficilmente si ricompatterà su unico nome considerando la volontà di riproporsi dell’ex presidentessa Cristina Kirchner.
Tempi interessanti da seguire per lo sviluppo della politica estera dell’intera America Latina e non solo, considerando gli interessi sempre più alti di Cina, Russia e Stati Uniti in questa zona del mondo.