Il 68 ha cambiato il mondo ma ha inciso davvero poco sulla musica, in particolar modo su quella italiana. Ha avuto molto più effetto, sulla rivoluzione musicale, Domenico Modugno. O Adriano Celentano e Lucio Battisti.
D’altronde la contestazione si fa risalire al maggio francese solo per comodità ma, in realtà, inizia già 4-5 anni prima nelle università americane dove gli studenti protestavano perché non avevano voglia di andare a farsi ammazzare in Vietnam senza alcuna ragione.
Così sono del 63 due delle più famose canzoni contro la guerra, come Blowin in the wind portata al successo da Bob Dylan e We shall overcome di Joan Baez. Ma anche in Italia non si è aspettato il maggio francese per schierarsi contro l’aggressione americana.
Morandi canta “C’era un ragazzo (che come me amava i Beatles e i Rolling Stones)” nel 66 e l’anno seguente i Giganti portano addirittura al Festival di Sanremo la loro Proposta, conosciuta per il ritornello “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”.
Ma non c’è solo l’aspetto pacifico e pacifista. Inizia la contestazione di un modello di società consumistica e già nel 65 Francesco Guccini scrive “Dio è morto”, una spietata critica agli stereotipi del boom economico.
Mentre Luigi Tenco si suicida nel 67 a Sanremo dopo aver presentato “Ciao amore ciao” che analizza le difficoltà del passaggio dal mondo contadino a quello urbano.
Anche i Pooh si occupano di temi che esulano da cuore e amore e nel 66, con “Brennero 66” ricordano un episodio del terrorismo in Sud Tirolo.
Paolo Pietrangeli, però, va oltre e sempre nel 66 scrive “Contessa”, inno esplicito alla violenza di classe: “Compagni, dai campi e dalle officine prendete la falce, portate il martello, scendete giù in piazza, picchiate con quello”. Sono i prodromi degli anni di piombo che seguiranno.
La contestazione studentesca si salda con la protesta sui luoghi di lavoro. Arriva l’autunno caldo e ancora Pietrangeli sarà protagonista con un altro delicato brano, “Mio caro padrone domani ti sparo” mentre Alfredo Bandelli intona “La ballata della Fiat”. La dolce e lunga estate degli Anni 60 è ormai terminata e pare quasi profetico il brano di Nada che chiude un’epoca con “Ma che freddo fa”.
E il maggio francese?
Saranno in pochi a ricordarlo in musica. Fabrizio De Andrè, con “Canzone del maggio”, tratta da un brano parigino del 68. E, qualche anno più tardi, Eugenio Finardi con “I fiori del maggio”.
Più nostalgia che celebrazione. Per chiudere con l’impietoso “I reduci” di Giorgio Gaber.