Pascoli diceva che dentro ogni uomo adulto, preso dai problemi e dalle paure della vita, dorme, o meglio sonnecchia un Fanciullino. Capace ancora di meraviglia. Di ridere e piangere. Di emozionarsi e commuoversi. E aggiungeva che nel poeta il Fanciullino si risveglia. A tratti prevale. E detta emozioni e parole.
Poi, subito, spiegava che il Fanciullino per eccellenza è Omero. Così, tanto per farci capire che il poeta non è un ritardato mentale…
Ne ho parlato spesso. E non intendo tornarvi sopra. Solo prendere spunto per osservare che dentro di noi coesistono molti… beh, diciamo pure esseri diversi.
Una complessità di cui non siamo, ordinariamente, coscienti. E che emerge solo a tratti. Spesso sorprendendoci. E incutendoci timore. Se non, addirittura, terrore.
Perché questi lampi, che provengono dalle oscurità, dall’Erebro oserei dire, che è in noi – chiamatelo anima o psiche, che, poi, è la stessa cosa – illuminano, per un frammento d’attimo, l’inconsistenza di quello che siamo usi definire il nostro “Io”, la nostra preziosa personalità. Che ci illudiamo non solo che sia monolitica, unitaria, compatta… ma anche unica, irripetibile. Originale. E che invece si rivela come un insieme di frammenti. Un mosaico, sovente scomposto. E caotico.
È il Babau. Il mostro nascosto nell’armadio o sotto il letto, che inquieta le notti dei bambini. Che ancora hanno una loro percezione di tale complessità interiore. Proprio perché meno imprigionati nella granitica rappresentazione, o illusione, di se stessi che è propria degli adulti. E allora ci dicono di temere, o meglio avvertire presenze oscure. Strani visitatori nella notte. E noi scrolliamo le spalle. Paure infantili… così siamo soliti liquidarle. E ne ridiamo magari… comunque ci sentiamo tanto, proprio tanto superiori… certo, non non abbiamo paura del Mostro nell’armadio. La TV non ne parla…. quindi…
E invece dovremmo ascoltare di più… perché nei bambini, in queste loro inquietudini, emerge una realtà profonda. La realtà di ciò che siamo. O meglio di ciò che ci compone, al di là dell’illusione che abbiamo di noi stessi. Che è poi la Grande Illusione. Il Velo di Maya, se vogliamo volare alto e giocare, ancora una volta, con il vecchio Schopenhauer….
Don Juan – ancora lui, il vecchio stregone guerriero yaqui delle storie di Castaneda – dice che in ognuno di noi esiste un “altro”. Oscuro, pesante. Che guarda con freddo scetticismo ai drammi e dilemmi che ci attanagliano. E, mentre noi ci affanniamo, lui se ne sta lì, nell’ombra. E se la ride.
Don Juan dice il vero. E lo dice anche il Pascoli. In noi il Fanciullo e il Lato Oscuro – mi si passi questo richiamo a Star Wars – coesistono. E vi sono altri, molti altri inquilini che coabitano. In fondo gli schizoidi, in misura più lieve i bipolari, non sono altro che coloro nei quali emerge una delle “persone ” che si celano oltre il velo di quella che è la nostra personalità pubblica. Ufficiale.
Pirandello lo aveva ben compreso. Da lì l’Enrico IV Trovarsi, la Signora Morli…
Non per nulla volle che la sua Omnia teatrale avesse come titolo “Maschere nude”. E, come spesso ricordo, maschera, in latino, si traduce con “persona”.
È il senso di quel cielo di cartone nel teatro dei pupi. Sembra reale, ma se lo squarci, al di là intuisci altro. Forse il vuoto.
Impermanenza, dice il Buddha. Chè solo il Vuoto è reale. Tutto il resto muta. Di continuo. E noi siamo molteplici. Uno, nessuno, centomila. Ma non perché gli altri ci vedano in modo diverso da come noi si pensa di essere. Ma perché noi siamo proprio così.
Dovremmo ascoltare di più i fanciulli, quando ci parlano del Babau. E dovremmo, soprattutto, ascoltare il fanciullo nascosto in noi. Che ci mostrerebbe come il timore per il mostro sotto il letto ha molta, ma davvero molta più sostanza di realtà delle tante paure sotto l’egida delle quali conduciamo la nostra esistenza. E dalle quali ci facciamo dominare e asservire.
E poi , sinceramente, dovremmo prestare orecchio anche a lui, al nostro lato oscuro. Al Babau, in buona sostanza.
Non è, lo ammetto, proprio il più simpatico dei nostri… coinquilini. Né quello che sceglierei per una scampagnata o una bicchierata in allegria.
Però con la sua fredda, e cupa, lucidità, con quella sua risata sardonica che ci risuona dal profondo… beh quando diciamo Io, Io, Io, ci… ridimensiona. E quando, poi, arriviamo al paradosso, il più assurdo e inconcludente, di affermare “Io non voglio morire!”, ci aiuta a comprendere quanto siamo… ottusi. E ridicoli.