Mi scrive M., l’amico di una vita. Dalla mia città natale. Che ho lasciato e non vedo da molti anni…il perché sarebbe complicato da spiegare. E poi non credo possa interessare a qualcuno…
Mi scrive e mi dice che il Bar dello Sport sta per chiudere.
Il Bar della Piazza centrale. Per noi, un tempo, il Bar per antonomasia. “Ci vediamo al bar” si usava dire. Ed era sottinteso che fosse quello e solo quello. Lo Sport. Era il luogo di ritrovo dei giorni festivi. Il Sabato, e, soprattutto, la Domenica, all’uscita dalla messa in Duomo, si andava di norma lì per prendere lo spritz. Quello vero, originale. Un calice piccolo, non le enormi cofane di oggi. Vino bianco fermo, campari, una spruzzata di seltz. E l’immancabile oliva. Preparava lo stomaco al pranzo festivo. Beh, qualcuno lo preparava un po’ troppo…siamo veneti, dopotutto.
Per noi, da giovani, era il punto di riferimento delle serate. E, anche, dei lunghi pomeriggi estivi, trascorsi stravaccati ai tavolini sulla piazza, sfruttando la frescura effimera degli ombrelloni. O crogiolandoci come lucertole al Sole. Mentre bevevamo una birra. O prendevamo un gelato.
Era un luogo di storie. E una straordinaria galleria di personaggi. Un po’ come nel film di Pupi Avati “Gli amici del bar Margherita”. Uno dei suoi più felici. E, in fondo, tutti i bar centrali delle città di provincia erano, un tempo, così. Osservatori privilegiati della vita. E delle varianti umane. Che non sono infinite, ma rispondono a ben definiti canoni. O meglio, rispondevano. Perché oggi, guardandomi intorno, vedo solo una uniformità sempre più piatta ed amorfa.
Il mio Bar Sport avrebbe potuto essere ovunque nella provincia italiana. Lo ritrovo nelle pagine, sicilianissime, di Brancati. E in quelle profondamente venete del Meneghello de “Libera nos a Malo”. E lo ritrovo, sopratutto, nei racconti e romanzi di Piero Chiara. Che mi è sempre parso l’ultimo vero erede della tradizione novellistica nostra, con quegli amori effimeri, quel gusto del cibo e della beffa, quella sensualità allegra e, talvolta, un poco grossolana. Un Boccaccio Lombardo del ‘900. Leggete “Il piatto piange”, e capirete.
In provincia il vero, grande male è la noia. Non che questa sia assente nelle grandi città. Ma è una noia diversa. Stressata, nevrotica. Affannata. Triste.
La noia della provincia ha altre tinte. È…più lenta. Soffusa. Languida e, paradossalmente, allegra. Non è stanchezza del vivere quotidiano. Piuttosto, fame di vita. ..
Vi erano, allo Sport, davvero personaggi incredibili. Ricordo Tarzan, che girava in maglietta a maniche corte anche in gennaio. E che veniva chiamato così per l’abitudine di lanciare improvvise urla gutturali. Facendo sturbare le anziane signore tutte ingioiellate, talune con tanto di cappello, che sorbivano il tè. O un bianchetto, ché, in fondo, erano venete anche loro.
Tarzan aveva la forza di un toro. E il cervello di un bambino di cinque anni. Ci si divertiva con lui. Bastava un’ombra di vino e cominciava a fare il matto…
Allo Sport, talvolta, si vedevano comparire anche quelli della Mala. Non erano abituè. Per lo più frequentavano altri locali, notturni. Di dubbia, o meglio indubbia, fama. Ma qualche volta passavano di lì. E li si guardava con un misto di rispetto e circospezione. Era la vecchia Mala. Quella di un tempo. Un residuato bellico, che ancora non si sporcava le mani con la droga. Uno di loro, il più famoso e temuto, veniva chiamato Kociss, come il capo apache. Morì anni dopo, se non sbaglio, uscendo mitra in pugno da una banca che aveva cercato di rapinare. Era scattato l’allarme. E la polizia aveva circondato l’edificio.
Allo Sport, per altro, la polizia c’era praticamente in pianta stabile. Ma era quella in borghese, la cosiddetta Squadra Politica. Se vogliamo l’antenata della Digos, ma l’antenata povera. Un maresciallo, un appuntato, un paio di agenti. Arrivavano in bicicletta, per sedare le, frequenti, risse. Si era negli anni ’70, e gli animi già parecchio accesi. Uno degli agenti lo avevamo soprannominato Serpico. Impermeabile stile Scotland Yard, cappello, occhiali da sole. E fingeva di leggere il giornale seduto al tavolino.
Erano gli anni della politica in piazza e in strada. Dai tavolini dello Sport ascoltavamo i comizi elettorali. E guardavamo passare i cortei con le bandiere al vento. Non senza dei fuori programma abbastanza divertenti e divertiti. Come quando dalla sede del MSI, proprio sopra il nostro bar, venne messa a tutto volume, con tanto di altoparlanti, una musica circense. E una voce stentorea annunciò: Siore e Siori, è arrivato il Circo di Mosca!
Stava passando un corteo del PCI. Che, per altro, aveva la sua sede proprio di fronte. Dall’altro lato della piazza…
Un’altra volta un noto e brillante avvocato, con studio lì a lato, ma famoso anche per le sue predilezioni bacchiche – per cui riceveva i clienti più seduto ai tavolini dello Sport che in ufficio – accolse un altro corteo lanciando generosamente monetine da cinque lire. E tacciando i partecipanti di pratiche di coprofagia… credo si sia salvato dal linciaggio più che per l’intervento di Serpico, perché Dyonisos è Dio benevolo coi suoi fedeli…
Lì, ai tavolini dello Sport, intrecciai anche il mio primo amore. E accompagnai a casa, per la prima volta, una ragazza. Si chiamava Marina. E molti anni dopo, quando ci eravamo ormai completamente persi di vista, venni a sapere che non era più… Avevamo però sognato insieme per un breve lasso di tempo. Sogni semplici. Tra i tanti che nascevano lì, al vecchio Bar Sport.
Che ora ha, definitivamente, abbassato le saracinesche. Chiudendo tanti ricordi e tante storie.