Il bar che frequento più spesso, qui dove abito, si chiama “Sole Luna”. Il nome, poetico, in realtà sta a significare gli orari di apertura: h24. Tutto il giorno, tutta la notte. Anche perché ha, praticamente, l’unica rivendita di tabacchi notturna del quartiere. E i disperati, che si ritrovano senza sigarette alle tre del mattino, lo conoscono bene…
È un posto simpatico. E camerieri cordiali. In maggioranza calabresi e siciliani, qualche straniero, per lo più balcanico.
Non che sia un bar frequentato sempre dalle stesse persone, uno di quei bar (ex osterie) che fanno comunità, di cui già, più volte, ho parlato. Però ha un bel giardino con gazebo. Fresco anche nei giorni recenti di questo inizio luglio. Il servizio, come dicevo, simpatico. La roba buona. Insomma, ci si sta abbastanza bene. E a mio figlio piace. Anche perché ha un’area giochi. E i calcetti. Quelli un tempo detti calcio balilla. Ora non più, naturalmente. Non fosse mai che quel “balilla” sia allusione (nostalgica) alle organizzazioni giovanili del Deprecato Regime. Che, in effetti, fu il primo a preoccuparsi non solo dello studio, ma anche dello svago, colonie e circoli e attività sportive, dei figli del popolo.
Comunque, in questo bar, se mi guardo intorno, manca qualcosa. Manca…un biliardo. Un tempo elemento essenziale dell’arredamento di ogni bar degno di questo nome. Perché quelli che ne erano privi, venivano frequentati solo da vecchiette, in guanti e cappellino, per prendere il tè o la cioccolata.
Ma gli uomini, vecchi e giovani, andavano dove c’era almeno un biliardo. Per giocare. O anche solo per assistere alle partite di altri. Di quelli bravi, soprattutto. Perché, in periferia e in provincia, praticamente ogni bar aveva i suoi campioni. E i frequentatori abituali ne andavano orgogliosi. Era una specie di tifo da contrada, sopratutto quando i tuoi beniamini incrociavano le stecche con quelli di un’altra zona. Un altro rione. E ne venivano fuori disfide dal sapore epico.
Non è un caso che il biliardo, fra tutti i giochi da bar o osteria, sia quello che stimola di più l’immaginazione. Anche artistica. Perché, certo, anche le carte avevano un loro fascino. Certe partite a briscola, o a tressette, o meglio ancora al, leggendario ormai, madrasso (che in Romagna mi pare prendesse il nome di picchetto) erano un vero spettacolo teatrale. Una recita a soggetto che sarebbe piaciuta a Molière…
Ma il biliardo…. Il religioso silenzio che accompagnava gli incontri.. I contendenti che passavano il gesso sulla punta della stecca. Poi la bilanciavano tra le mani. Giravano intorno al tavolo verde, con occhio attento. Studiavano il campo di scontro, e progettavano la strategia.
Il cozzo delle boccette. I minuscoli birilli. Il boccino. Le sfere bianche e rosse nelle, tradizionali, “italiana” e “goriziana”. Quelle policrome della americana. Che, però, era considerata più facile. Roba da principianti. I veri maestri la trattavano con aria di sufficienza. Ma noi ragazzi, in genere condannati alle sole boccette, quando osavamo prendere in mano una stecca, solo nell’Americana ci potevamo cimentare. Certo, non era un granché…ma, per un momento, ci sentiamo tutti un po’ Paul Newman nella Stangata.
L’arte del biliardo. E il biliardo nelle arti. Innumerevoli le citazioni cinematografiche. Non solo nei film d’oltre oceano, con quelle sale fumose, dove si affrontavano, a muso duro e sigaro in bocca, uomini che sembravano usciti da un film su Al Capone… anche in Italia le citazioni del biliardo sono difficili da contare. E ricordare tutte. Indimenticabili, per me, “Io Chiara e lo Scuro”. E il suo sequel, come si usa dire oggi: “Casablanca, Casablanca”. Il miglior Nuti. E, al suo fianco, una Giuliana De Sio straordinaria. Triste, invece, la ripresa che un Nuti, ormai al crepuscolo, tentò con “Il Signor 15 palle”. La ribollita funziona in cucina, non sullo schermo. E non è bastata l’opulente bellezza della Ferilli per riscattare una storia ormai faticosa…
Il cinema è l’arte che più di ogni altra si presta a raccontare il biliardo. Perché le partite bisogna vederle, sentire il cozzo delle biglie, annusare l’atmosfera che le circonda.
A maggior ragione uno scrittore che sappia davvero evocare una partita a stecca, deve avere un grande…potere imaginifico.
Mordecai Richler.. Canadese di lingua inglese. Un genio eccentrico. E, spesso, ben poco consonante con la narrazione ufficiale della storia e della vita. Tanto che, per fare un esempio, a causa delle sue posizioni sui palestinesi, fu pubblicamente accusato di antisemitismo. Si chiamava Mordecai. E discendeva da un lignaggio di rabbini. Fate un po’ voi…
Ci ha lasciato alcuni, folli, capolavori. In particolare “La versione di Barney”. Straordinario. Un fuoco d’artificio senza posa. Impossibile riassumerlo. In Italia ha goduto una breve fama solo perché Giuliano Ferrara – che dirigeva un “il Foglio” ben diverso dall’attuale grigiume politicamente corretto – se ne era impallinato. E ne parlava di continuo…
Comunque, tutti i suoi libri sono straordinari. Anche uno smilzo volumetto che divorai in una sera. “Il mio biliardo”. Storia di una passione personale. Ma non solo. Perché il gioco del biliardo diventa, nella narrazione vivissima, di Richler, una sorta di filo rosso che attraversa tutta la vita. Metafora del destino. Le boccette d’Avorio che, colpite con la stecca, ruotano vorticosamente, e compiono mirabilie. Sfidando le leggi della fisica e della logica. E realizzando disegni e geometrie meravigliose. Soggette alla volontà e all’abilità di un uomo….
Il tavolo del biliardo, nel racconto di Richler, diventa una sorta di proiezione del Cosmo. E del suo opposto. Il Caos.
Volo troppo alto. Ma accade talvolta, quando la memoria rivisita luoghi, oggetti, usi che si credevano dimenticati. È un portato di una sorta di, inconscia, educazione sentimentale.
Nel flusso dei ricordi, torna l’immagine della vecchia sala giochi, sulla riva del Marzenego…. Le serate del Sabato trascorse a guardare partite a biliardo, dopo una pizza e una birra. Svaghi semplici. I soldi, in tasca, erano pochi. Tanto che si comprava in cinque un pacchetto di Camel da dieci. Due sigarette a testa. Ma eravamo felici. Il destino ci appariva nebuloso, ma pieno di speranza e promesse… In continuo, vorticoso mutamento. Come le palline che correvano rapidissime sul tavolo, verde, del biliardo….