Sono passati una manciata di giorni dalla morte di Alberto Asor Rosa. Troppi per un coccodrillo. Di quelli ne sono usciti in abbondanza sulla grande stampa. Elogi funebri pronti da tempo nelle redazioni, visto che Asor Rosa aveva, ormai, quasi novant’anni. E nessuno campa in eterno …
E, poi, io non avrei davvero motivo di piangere lacrime di coccodrillo. Né il direttore di pubblicarle su Electo… Asor Rosa era un comunista. Convinto. Ideologico. Uno che si era spinto, sulle pagine del Manifesto, ad auspicare un colpo di Stato di polizia e carabinieri per detronizzare Berlusconi. Uno che aveva criticato, con durezza, persino Pasolini, considerato malato di populismo.
E, poi, non era certo un… simpatico. Altezzoso. Sprezzante. Freddo.
Però devo essere sincero. A me,in fondo, piaceva. Proprio per questi suoi… difetti. Che non cercava di mascherare. Anzi, esibiva con orgoglio. E una punta di arroganza.
Era, inguaribilmente, un aristocratico. Certo, innamorato del marxismo. E formatosi vicino alla corrente “operaista” di Tronti. Ma aristocratico di natura. E, indiscutibilmente, per la vastissima cultura e la, raffinata, intelligenza critica. Che lo distingueva nettamente da tutti i pappagalli di un marxismo ridotto in pillole. Comodo e semplificato. Basti ricordare il suo giudizio sprezzante su Che Guevara. Uno dei miti della sinistra di quegli anni.
E, poi, come storico della letteratura era un grande. Fazioso. Ma grande. Fu il primo, nel mondo accademico sterile e astruso, a comprendere l’importanza del Pinocchio di Collodi. Non come libro per ragazzi, ma come gigantesco romanzo di formazione. Uno dei capolavori della nostra letteratura, degno di stare a fianco di quello del Manzoni.
Giovane insegnante di prima nomina, adottai come testo la sua “Sintesi di storia della letteratura italiana”. Suscitando un vespaio. Ero in un liceo della provincia veneta. Una cittadina dove la Democrazia Cristiana contava, circa, il settanta per cento dei suffragi. Cattolica sino al midollo. E sostanzialmente conservatrice.
Il collega di religione, don Riccardo, un salesiano, intelligente e colto, venne a parlarmi. Non senza un certo imbarazzo. In sostanza voleva chiedermi se ero marxista. Mi misi a ridere. Tutto il contrario. All’esatto opposto.
“Ma allora perché quel testo?” mi disse stupito.
Perché è fatto bene, anche se di parte – gli risposi -e poi mi piace l’idea di osare confrontarmi a distanza. Spiegando, o meglio provando a spiegare le cose in modo diverso. In un’ottica opposta.
Mi guardò stranito.
Ho incontrato Asor Rosa solo una volta. A Venezia, in un convegno di molti anni fa. Gli fui presentato come il responsabile cultura provinciale della, neonata, Alleanza Nazionale. Carica, per inciso, che tenni per ben poco, avendone compreso la totale inutilità. Era anche il periodo in cui, tra le lacrime di Occhetto, il Partito Comunista aveva mutato pelle. Era divenuto PDS. Prima delle molte Metamorfosi ancora in corso.
Mi guardò e disse:
“Ah …e come vive lei questa… trasformazione?”
Con un profondo disagio , professore.
Un momento di silenzio.
“Allora siamo in due”.
Riposi in pace