Sono sempre stato affascinato dai campanili. Non solo da quelli famosi, come “Il paròn”, che svetta in Piazza a San Marco. A Venezia. E che, appunto, gli abitanti della Laguna chiamano così, il Padrone , perché domina dalla sua altezza tutta la costellazione delle isole.
No. A me piacciono tutti i campanili. Soprattutto quando li vedo scorrere dal finestrino di un treno. Certo, deve essere un treno lento. Quello che, oggi, viene chiamato Regionale, o, al massimo, Regionale Veloce RV. In pratica l’unica concessione alla, strombazzata ed enfatizzata, moda delle autonomie.
Comunque, quando, viaggiando nella campagna – soprattutto la campagna veneta , per lo più piatta e verde, ma che poi, d’improvviso, si trasforma in un, ben più mosso, paesaggio collinare – vedo un campanile, la mia fantasia si accende.
E immagino la vita del paese, piccolo come un borgo o più grande che sia, dipanarsi sotto la sua ombra.
Le botteghe dei commercianti, gli artigiani. Il bar o, meglio ancora, l’osteria. Punto di ritrovo dei paesani dopo la messa nella chiesa che intuisco essere lì. Ai piedi del campanile.
Lo so…. è una fantasia puerile. Però, il campanile, nella memoria collettiva di tante generazioni dalla mia a quella dei miei padri, rappresenta da sempre un punto di riferimento. Una sorta di boa, di ancoraggio. Di porto sicuro.
Rappresenta la vita. Quella comune. Quella semplice. Un’Italia ancora… paesana. L’opposto del modello della metropoli che si sta, oggi, prepotentemente imponendo.
Perché la metropoli è, di per sé, spaesante.
In lei gli uomini sono individui anomici. Strane formiche che vagano da un luogo (o meglio un “non luogo”) all’altro. Senza sentirsi mai legati ad un punto preciso. Senza riferimenti. Di fatto, senza casa.
Il campanile, invece, è un riferimento preciso. Non per nulla, quando ancora di usava, e sapeva, costruire un paese, una città ex-novo, si partiva proprio da lui. Dal campanile nella piazza centrale, o, per lo meno, in quella dove sorgeva la chiesa. Che era, poi, la rappresentazione architettonica della vita, spirituale, di una comunità..
Mi viene in mente Sabaudia. La più particolare fra le città di fondazione volute dal Fascismo (si può dire, direttore?). E, dal punto di vista urbanistico ed architettonico, decisamente la più bella.
Ricordo. Nella piazza centrale di Sabaudia, in perfetto stile razionalista italiano, si erge, accanto al Municipio, la Torre Civica. Con tanto di orologio.
Perfettamente in asse, in un’altra piazza cui si accede da un ampio viale, il Campanile. Accanto, naturalmente, alla Chiesa.
Torre Civica e Campanile. La vita politica (dal greco naturalmente) della città. E quella spirituale. Non antitetiche, ma connesse fra loro. Altrettanto importanti. Un simbolismo… dantesco. Autorità spirituale e potere temporale. Trasferito in pietra, spazi, edifici… i razionalisti italiani del Ventennio sapevano bene ciò che facevano. E lo facevano bene, soprattutto.
Il sogno/incubo della Megalopoli è la città alveare, ove gli uomini sono, nella migliore delle ipotesi, nomadi senza meta né radici. Come gli, improvvisati, giovani poeti de “I detective selvaggi” di Bolano. In una immensa Città del Messico. Priva di qualsiasi centro…
All’opposto, mi viene in mente una vecchia canzone di Battiato… cerco un centro di gravità permanente …
Il modello urbano consono all’uomo, quello naturale, è il paese, il borgo. La piccola città. Di cui il campanile rappresenta il simbolo. Ed il perno. Il centro di gravità, appunto.
L”alveare, il formicaio sono società perfette. Ma per gli insetti. Noi… siamo mammiferi.
E la nostra dimensione è ben altra. Così Ernst Jünger.
Tentare la megalopoli non ci ha portato alla perfezione delle api. Ma al caos. All’indistinto, dove l’uomo si perde ed annulla. Nella solitudine.
Guardo scorrere i campanili, mentre torno, con un treno lentissimo, dalla Bassa Veneta alle montagne trentine.
Cambiano, man mano che procedo, le forme. Ma il segno resta lo stesso.
Un pullulare di vita, di relazioni comunitarie. Di affetti… un mondo piccolo, come quello narrato da Guareschi intorno al campanile del paese di don Camillo.