Dopo mesi di stop a causa del Covid19, anche il campionato di calcio italiano è ricominciato. Ma molti dubbi aleggiano sulla stagione appena iniziata e sugli altri eventi calcistici in programma quest’anno (oltre alle coppe europee, nel 2021 si terranno i Campionati Europei per nazioni e Under21 e la UEFA Nation’s League).
A poche settimane dalle ultime partite della precedente edizione (giocate fra luglio e agosto), che ha visto assegnare lo scudetto ancora una volta alla Juventus (quello conquistato nel 2020 è il 36° ufficiale della sua storia, anche se i tifosi della “Vecchia Signora” rivendicano ancora i due revocati nel 2005 e 2006 per via della vicenda “calciopoli”, che tra l’altro costrinse il club bianconero alla retrocessione d’ufficio), gli italiani hanno nuovamente visto scendere in campo le venti squadre che compongono il campionato di Serie A.
Quest’anno le neopromosse sono: il Benevento, che nell’ultima giornata ha riportato un’inaspettata vittoria esterna ai danni della Sampdoria; il Crotone, a fondo classifica dopo due turni, ma dopo aver affrontato Genoa e Milan; lo Spezia, per la prima volta disputa il massimo campionato nazionale nella sua ultracentenaria storia.
Rispetto alle geografia italica, sono presenti tutti i grandi club delle città più importanti (Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli, Bologna, Firenze, Bergamo e Verona) mentre restano assenti alcune società storiche come la Pro Vercelli, il Casale Monferrato (vincitrici del titolo in passato), oppure il Venezia, il Palermo o il Bari, che rappresentano altre grandi città capoluogo di regione. Come da tradizione, la gran parte dei club iscritti sono del centro-nord, con la prevalenza di Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna con tre squadre ciascuna, mentre per il Meridione sono presenti solo quattro sodalizi per le regioni di Campania, Calabria e Sardegna. Sul piano degli scudetti conquistati, invece, la maggior concentrazione si trova nell’ex-triangolo industriale del centro-nord, dove si contano ben 87 campionati vinti sui 116 disputati (a partire dal 1898)!
I pronostici dicono ancora Juventus (sarebbe il decimo scudetto consecutivo!), che oltre ad essere il club più titolato in assoluto è anche quello più forte a livello di organico e di potenziale societario, gestito dalla Famiglia Agnelli in continuità di proprietà e di risultati dal secondo dopoguerra. A differenza delle altre società in competizione per il successo finale, ossia Milan, Inter e Roma, negli ultimi anni cedute a nuovi proprietari, che nel caso delle due milanesi sono addirittura cinesi mentre il patròn romanista attuale è uno statunitense. Come lo è il nuovo presidente della Fiorentina che l’ha rilevata dai Della Valle: costoro hanno seguito l’esempio di Berlusconi, Moratti, Viola, Preziosi, Zamparini e altri facoltosi imprenditori e uomini d’affari italiani i quali, dopo decenni di protagonismo nello sport più ricco e popolare nazionale, hanno abbandonato i club che possedevano (divenute ormai società per azioni e commerciali a tutti gli effetti), alcuni dopo grandi successi sportivi ed economici.
Peraltro, il calcio del XXI secolo è sempre più improntato al business e alla gestione dei diritti televisivi o dei calciatori, del merchandising o dei bonus derivanti dalle competizioni internazionali, più che dagli incassi al botteghino o dalle sponsorizzazioni. Un fiume di denaro che permette, a chi ne ha la possibilità, di portare a giocare nel proprio club i migliori atleti al mondo. Cui però bisogna riconoscere ingaggi sempre più ricchi e compensi esorbitanti per rilevarne il cartellino, soprattutto per via delle regole di contrattazione che impongono penali di risoluzione sempre più esose. Si prenda a esempio il caso dell’estate che ha riguardato Messi (attaccante pluripremiato del Barcellona): sembrava sul punto di passare al Manchester City per varie centinaia di milioni di euro, con un ingaggio “fuori mercato”: un contratto che non è stato perfezionato, appunto, per via della cifra spropositata che il calciatore avrebbe dovuto liquidare al club spagnolo per potersene andare.
Ma il campionato di calcio italiano è in crisi da anni, sia per questioni finanziarie, sia sul piano dei risultato in campo internazionale (l’ultimo trofeo vinto da una squadra italiana risale al 2010). E quest’anno è sopraggiunta la problematica del Covid19, che impone la chiusura degli stadi al pubblico (l’OMS ha ribadito questa posizione pochi giorni fa), con irrimediabile perdita di incassi soprattutto per le società minori, nonché un rigido protocollo sanitario per tutti gli atleti e il personale societario, che in caso di test positivi porta immediatamente alla messa in quarantena degli interessati: tanto è vero che il Genoa ha chiesto alla Federazione di rinviare la prossima partita col Torino perché i giocatori risultati positivi al tampone sono ben quattordici!
Un caso che avrà certamente altre ripetizioni nei prossimi mesi, visto il ritorno di fiamma del virus nel nostro paese (e in tutta Europa) e date le perduranti inefficienze della gestione del virus stesso da parte delle istituzioni politiche e sanitarie. Se poi, addirittura, dovesse tornare il regime di “lockdown” in tutto il territorio (o solo in alcune regioni), allora la situazione del campionato e persino della sua regolarità sportiva potrebbe essere in forse. Per non parlare dello svolgimento di partite fra squadre prive di giocatori della rosa (magari anche di prestigio) o a rischio limitazioni alle prime avvisaglie di positività di qualcuno nell’entourage sportivo dei club.
Si è già visto, nello scorso torneo (concluso ad agosto dopo quasi tre mesi di stop improvviso) che recuperare il calendario delle partite, intersecato con quello delle competizioni internazionali per club e delle varie nazionali, è assolutamente difficile. Insomma, il rischio di un flop generale c’è ed è grosso. Trattandosi di uno di settori più importanti dello sport nazionale (nonché del Pil italiano), sarebbe una debacle irrimediabile per l’intero paese.
Segni di un mondo che cambia, messo in crisi da un minuscolo invisibile virus su cui ancora poco si sa e che nessuno è in grado di combattere in modo efficace, tantomeno le molte aziende che stanno cercando di sviluppare un vaccino miracoloso.
Probabilmente non andremo più allo stadio ad assistere alle partite ma le vedremo in diretta o in differita sui canali televisivi o web a pagamento (forse risparmiando sul costo del servizio rispetto a quello dell’abbonamento). Certamente sarà una fruizione più comoda e rilassata rispetto alle fredde e fumose serate sugli spalti dei vecchi impianti italiani, nonostante il posto numerato assegnato. E poi, in tv hai la possibilità di rivedere l’azione decisiva, il goal, il fallo da rigore. Da tutte le angolazioni, col ralentì e le analisi statistiche degli esperti e commentatori in studio.
Puoi registrare la partita e rivederne gli “highlights” sul tuo schermo, oppure nei vari programmi sportivi che occupano i palinsesti tv praticamente ogni giorno. Inoltre, col VAR che decide tutto dall’alto e il numero delle sostituzioni salito a cinque a partita per ogni squadra, col fuorigioco riveduto e i falli di mano anche involontari a decidere il risultato di ogni partita, davvero non è più il calcio di una volta. Sempre più simile ad un videogame che a una prestazione sportiva agonistica di gruppo (ancorché professionistica), il calcio post-Covid rischia di diventare solo un ricco show digitale “a distanza” e senza più pathos.