Cominciai a leggere Machiavelli a 15 anni… Il Principe, o meglio De Principatibus, naturalmente. Intendiamoci, non voglio atteggiarmi ad ex ( molto ex) ragazzo prodigio. E, all’epoca non ero certo un secchione, un nerd, come si usa dire oggi. Ma quel libriccino mi capitò fra le mani quasi per caso. Cominciai a leggerlo. E me lo bevvi tutto d’un fiato.
È stato fondamentale per la mia formazione. Come pochi altri. L’Odissea, la Commedia, il Faust. E infine i Cantos. Tutte opere di poesia. Solo lui, Machiavelli, in prosa. E che prosa…viva, sapida come la cucina fiorentina. Mossa. Sottile e vigorosa. Nulla da invidiare al grandissimo Montaigne, anzi. Perché Machiavelli ci mette quel tanto di ferocia, di carognaggine tosca, che il francese non ha. Né poteva, ovviamente, avere.
Questo, però, per dire che il mio modo di guardare alla politica, alla società si è formato su Machiavelli. Aristotele, Tucidide, Polibio, Cicerone…sono venuti dopo. Come conseguenze. E da lì mi è venuta questa fissa del realismo. Che, forse, mi può rendere poco simpatico. Ma che mi ha insegnato molte cose. Ovvero, in sostanza, che a pensar male sì fa male, ma in genere si indovina. E questo è Andreotti. Che Machiavelli lo aveva letto. E bene.
Tuttavia, ultimamente, ho trovato una pecca nel realismo Machiavellico. E di un po’ tutto il pensiero politico classico. L’idea che qualsiasi governo, anche il peggiore, sia preferibile ad una totale assenza di governo. Ovvero a quella che chiamavano Anarchia. E che con l’anarchismo dell’800 ha poco, anzi nulla a che spartire.
Perché muove da una antropologia completamente negativa. Infatti gli anarchici come Cafiero o Andrea Costa avevano una visione ottimistica, positiva della natura umana. Intrinsecamente buona, ma corrotta, appunto, dalla società, dalla proprietà privata. Dallo Stato. In sostanza erano figli del mito del Buon Selvaggio illuministico. A parole bello. Nella realtà assurdo. E pericoloso.
Machiavelli e i realisti vedono l’uomo per quello che è. Una bestia feroce pronta a sbranare i suoi simili. Il governo è perciò necessario. Buono o cattivo non conta. L’importante è che impedisca la guerra di tutti contro tutti. E questo è, in soldoni, Thomas Hobbes.
E allora? Cosa trovi di sbagliato in questo, visto che la tua visione della natura umana, in fondo, è quella?
Beh, sinceramente è l’esperienza che, dopo tanti anni conta. Machiavelli & Co. restano maestri, e, per me, continuo stimolo di riflessione. Ma, come si soleva dire, Amicus Plato, sed magis Amica Veritas.
E, anche se non pretendo di avere la verità in tasca , da tempo penso che, alla fin fine, l’assenza di governo, l’anarchia, il caos se vogliamo, non sia poi il male peggiore… Anzi, talvolta diventa necessario. E salvifico.
Perché la natura umana è ferina, certo. Ma ci sono animali e animali. E ci sono gli insetti . Un cosmo meraviglioso, che Ernst Jünger ha narrato come un’epica in “Cacce sottili”. Dove, però, ci dice chiaramente che l’organizzazione perfetta degli insetti non è per l’uomo. Noi siamo mammiferi… Il nostro destino è il branco. O la solitudine.
Una società funziona, se posso usare questo termine improprio, sino a che ha lo spirito del branco. Che significa, certo, collaborazione, ma anche agonismo. Perché il vero modello è il branco di lupi, dove governa il più forte. Il maschio dominante. E la gerarchia viene di continuo messa in discussione. Perché solo attraverso l’agone interno si permette il necessario ricambio che garantisce di aver a capo i migliori.
Però, ad un certo punto, il branco non è più di lupi. Diventa branco di pecore. E, la metafora, ovviamente, è scoperta. Non c’è più lotta o selezione interna. Non c’è un vero dominante. Le pecore vengono guidate dall’esterno. Alla testa non la più forte e indipendente, ma la più docile agli ordini del pastore. Quindi, la più stupida. Perché le viene insegnato a temere il lupo. Ma poi, come recita un vecchio detto, è il pastore cui si affida che la tosa, le ruba il latte, le uccide i cuccioli. E, alla fine, dopo averla sfruttata, la porta al macello.
Il branco di pecore perde il senso della libertà. Vive nel terrore di un nemico esterno. Che, forse, neppure esiste, perché il lupo è estinto. O forse gli ultimi esemplari vagano nelle profonde solitudini del bosco. O della steppa. Come nel romanzo di Hesse.
Ma la paura indotta del nemico invisibile, rende le pecore sempre più acquiescenti. Docili e stupide. Al punto di sognare, addirittura credere in una società perfetta. Cui però mai potranno ambire. Perché restano, nonostante tutto, mammiferi. Non insetti.
E così le pecore muoiono tranquille. Affidandosi a quel pastore che ha loro promesso l’immortalità.
Fuor di metafora, quando una società diventa branco di pecore da tosare e macellare, e alla guida vanno i peggiori, allora è meglio l’anarchia. Il Caos, le invasioni barbariche… Tutto deve crollare, perché non c’è più nulla da salvare. Tutto è marcio e corrotto.
Anarchia. Guerra di tutti contro tutti. Forse un tale stato farebbe risvegliare in alcune pecore lo spirito dormiente del lupo. Forse i rari lupi solitari potrebbero tornare dal bosco. E formare, nella lotta, un nuovo branco…. Forse… Perché del doman non v’è certezza, come diceva uno che dell’ arte del governo ne sapeva. E molto.
Però ricordo Ovidio. Le Metamorfosi. In principio era il Caos. È da lì che si è, poi, con fatica e dolore, generato l’ordine. Il Cosmo.
1 commento
Proprio ieri parlavo anche io,per un attimo,del nostro essere animali sociali,anche quando per scelta non siamo più socievoli (come a descrivere quei lupi solitari fuoriusciti per una qualche ragione).
L anarchia a cui le masse vengono portate è solo quella voluta dal potere,l unica,in fondo,di cui gli uomini diventano preda,in quanto,appunto, promossa subdolamente al solo scopo di sottomettere.
Quella descritta,ossia bellum omnium erga omnes.Ed in questi casi
,in effetti, anche la storia insegna che è quasi da invocare un’ azione esterna,i barbari, appunto,che segni la fine e porti nuove forze,nuove energie.Come raggiungere un limite di espansione di una fase da cui,poi,si genera una nuova fase che porta una ricostruzione graduale.
Ma,devo dire, in questo momento io non vedo più qualcosa su cui “contare”, poiché stiamo vivendo un’ eccessiva intrusione della tecnologia nel corpo stesso dell’ uomo.
L anarchia da me anelata,quella non ideologica,ma solo ispirata da una saggezza interiore,innata su cui lavorare per rendere migliore e non sopprimere, è stata da sempre bandita nella società, forse perché davvero c è anche la cattiveria e il sopruso,l egoismo nell’ uomo,con cui l umanità,nei suoi diversi modelli organizzativi,deve sempre fare i conti.Ricordo un piccolo libro,dal titolo ANARCHICI,GRAZIE A DIO, scritto da Zelia Gattai,la compagna di Jorge Amado,in cui raccontava semplicemente le sue origini italiane,il viaggio dei suoi nonni, gli “infiltrati”in una sorta di comune per cercare di organizzarsi,aiutarsi e sopravvivere,la cattiveria dell’ uomo all uomo,l arma più importante che da sempre il potere(il pastore) esterno utilizza.Il disincanto, in sintesi.
L anarchico vero è colui che ha profonde regole interiori non dettate da un potere,che invece viene spesso messo in discussione. È colui che mal sopporta le idiozie di regolamenti seguiti pedissequamente, è colui che dovrebbe essere alla guida,in qualità di migliore, ma viene cacciato o si autoesclude, preferendo il bosco, la solitudine del lupo nella steppa.
A volte, potrebbe divenire proprio il Barbaro atteso,perché può ribaltare gli schemi,le regole sbagliate ,con il suo essere eccezione.
Come un uomo che dal non essere riconosciuto profeta nel suo paese,giunga a divenire guida del suo popolo.
Ricordo una riflessione che si fece con un’amica partenopea,molti anni fa,quando fui in visita da lei.Eravamo in macchina ed io chiedevo come si potesse guidare in alcune strade della loro cittadina, e mi domandavo come si sarebbe trovato un cittadino del Nord.E la risposta fu semplice, perché i miei amici mi fecero notare che erano abituati ad avere una sorta di codice della strada che nasceva dall’ imitazione e che funzionava, ci si rispettava grazie ad una educata consapevolezza popolare.
E, secondo me,si è provveduto in questi ultimi vent’anni,a distruggere anche quella,in buona parte.
Era il retaggio di una Napoli che era stata tradita durante la fine della seconda guerra mondiale,delle immagini del DDT, di tante cose di quei tempi e di altri precedenti.
L arte dell organizzarsi, quando in ogni maniera,dal di fuori, il pastore ti vuole macellare, proprio perché sei un agnellino “libertario”.
Dal Caos al Cosmo: per me,ormai, è solo un’Utopia, chimera, dunque speranza che non ho.
Mi restano, però, sempre le parole dei grandi,da imparare, da tenere in me,arte consolatoria,fino all’ ultimo respiro.