Per due giorni sembrava primavera. Temperature da fare invidia ad Aprile inoltrato. Sole splendente in un cielo azzurro limpido. E le notti terse e dolce l’oscurità , come le descrive Byron nel suo Childe Arold… Ingannevole, lo sapevamo bene. Una maschera sull’inverno che ancora non si è ritratto… Eppure, una maschera tanto convincente da ingannare anche quella giovane pianta d’albicocco, che ha osato far spuntare le prime gemme… per non parlare delle mimose. In piena fioritura….
Poi, questa notte, è tornata la pioggia. La temperatura, in verità, si è abbassata ben poco. Folate di scirocco intervallano il cadere monotono e uggioso di gocce tutto sommato tiepide.
Però la pioggia ci ha fatto capire che siamo ancora in inverno. Questo strano inverno, piovoso e ben poco freddo…
Questo strano inverno, in cui cade un Carnevale fatto di vuoti e silenzi.
La televisione mi rimanda le immagini di una Piazza San Marco grigia e deserta. Al centro, immobili, statue viventi, gli artigiani delle maschere. Paludati nelle loro creazioni. Protesta silenziosa. E suggestiva. Nel vuoto. Perché oggi non vi sarà Volo della Colomba dal Campanile. E non vi saranno né sfilate né balli…

Qui, nella pioggia, si sente solo il richiamo di cornacchie. E di qualche gabbiano. Attratti, probabilmente, dai cumuli di immondizie che si infradiciano e decompongono lungo i marciapiedi. Ironia di una città che, da un anno ormai, è ossessionata dalla igienizzazione dei locali, delle mani, perfino delle zampe dei cani… E che vive indifferente tra immondizie e orde di topi…
La luna deve essere all’ultimo quarto. Anche se le nubi la rendono invisibile. Ciò significa che il Novilunio cadrà intorno all’11. Un pieno Carnevale senza Luna, dunque. Un Carnevale delle ombre. E, forse, percosso dallo scirocco. E bagnato di pioggia
Perfetto. Non potrebbe, non dovrebbe essere altrimenti quest’anno.
Immagino le calli di Venezia vuote. Senza luce alcuna. Senza feste né voci… Potrebbe essere anche un’altra città, lo so. Molti sono i Carnevali. E tutti, o quasi, oggi negati. E rinnegati da un popolo privo di identità. Di radici. Ridotto ad atomi anomici e anonimi. Atomi di paura…
Ma quello di Venezia è il Carnevale per eccellenza. Ed è, sopratutto, l’ unico Carnevale che non teme il silenzio e i divieti. Che non teme le ombre. Perché, anzi, è festa delle ombre. Dei Fantasmi…
Lo so, cose già dette. Ma la monotonia del giorno, la pioggia, l’uggia rendono tale… sensazione, o percezione più intensa. Più reale…
E l’immagine di quelle maschere in stile antico, là, immobili, nell’unica Piazza, rende tutto più intenso. E struggente…

Malinconia di un novilunio incombente. Forse… O ricordi. Di libri, di conversazioni. Di storie, tante. Il Carnevale dei Fantasmi sta entrando… nel vivo. Per usare un paradosso. E si affollano, questi Fantasmi, nei campi, lungo il dedalo delle calli, corrono attraverso sottoporteghi di nebbia e ombra. Ridono, sogghignano. Ammiccano. Raccontano, soprattutto.
Venezia, questa Venezia lontana e immaginaria, che incantò Lermontov e Ruskin, è una allegoria di memorie divenute pietre.
Pietre che intonano strane canzoni nello sciabordio delle acque…