Che squallore, il Censis! Il cinquantacinquesimo rapporto sulla situazione sociale dell’Italia ha toccato vette himalayane della cialtronaggine e del servilismo. Siamo passati dall’utilizzo di termini insulsi, ma curiosi, per definire le tendenze degli italiani all’offesa gratuità nei confronti dei dissidenti. Perfetto stile sovietico, mancano solo i gulag fisici, sostituiti da quelli del confino morale ed intellettuale. Mescolando insoddisfatti e terrapiattisti, nuovi poveri e negazionisti dello sbarco sulla Luna del 1969. Tutti accomunati dalla definizione di “irrazionali”.
È evidente che per il Censis, dove sono piazzati i garantiti per ragioni famigliari, chi si preoccupa per il calo del proprio potere d’acquisto è un nemico, un irrazionale, un complottista. “L’irrazionale – sostengono al Censis – ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive”. Il che è un falso evidente, per chiunque riesca a resistere ai conati di vomito seguendo i talk show a senso unico delle varie emittenti televisive. Ma forse al Censis ignorano Floris, Gruber, Formigli, Ranucci, Giletti.
I ricercatori di famiglia non riescono a spiegarsi perché la stragrande maggioranza degli italiani sia pessimista per il dopo Covid nonostante le menzogne dei media di servizio a proposito della grande ripresa dell’economia nazionale. Non riescono a spiegarsi perché gli italiani non si entusiasmino per l’invasione nonostante le dichiarazioni di monsu Bergoglio e di Boldrini e compagni. Non riescono a spiegarsi perché ci sia un clima di sfiducia nei confronti della scienza che, in poco più di un anno, ha sostenuto tutto ed il contrario di tutto.
Per i garantiti del Censis “la fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte”. Magari anche di aspettative oggettive, ma è meglio sorvolare. Meglio indignarsi perché “l′81% degli italiani ritiene che oggi sia molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio; il 35,5% è convinto che non convenga impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato”.
Ingrati, questi italiani. Privi di senso della riconoscenza nei confronti di un ceto dirigente e di un governo che li ha impoveriti, ma per il loro bene. E, dunque, bisogna stigmatizzare questi atteggiamenti, questa insoddisfazione. Bollandola come irrazionale, come frutto di stupida attenzione alle teorie magiche ed antiscientifiche. Non è chiaro cosa ci sia di antiscientifico nel fare i conti con guadagni e spese ed accorgersi che i primi calano e le seconde aumentano. Ma il Censis si indigna ed accusa. Ogni insoddisfazione deve essere vietata dal ministero della Verità.