Avere il “braccino” ha un doppio significato. Da un lato la taccagneria, ed Urbano Cairo è il “braccino” per eccellenza. Dall’altro la sindrome che colpisce i tennisti (ma per estensione tutti quanti) quando sono sul punto di vincere e, improvvisamente, si ritrovano alle prese con il timore di sbagliare che li fa, appunto, sbagliare anche i colpi più semplici. Il centrodestra torinese ha il braccino. In entrambe le accezioni.
Ha trovato un candidato per le elezioni comunali, Paolo Damilano, che per la prima volta mette paura agli avversari. Ha trovato una sinistra divisa, un Sottosistema Torino in piena crisi di identità, un Movimento 5 Stelle che ha profondamente deluso. Rischia di vincere, insomma, questo centrodestra. E dunque scatta il braccino. Investimenti zero ed errori in serie.

Si comincia a prospettare una candidatura alternativa, Claudia Porchietto, espressa da Forza Italia che, a Torino, ha ormai percentuali ridicole. E si continua con la guerriglia di logoramento del candidato. Del proprio candidato. Mentre a sinistra si litiga sul nome da proporre come sindaco – probabilmente Lo Russo, in abbinamento con una quota rosa e con la supervisione di Salizzoni – nel centrodestra si discute di spartizione degli assessorati.
Ignorando la saggezza popolare che impone di “non dire gatto se non l’hai nel sacco” e di “non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”. Insomma, la vittoria è tutt’altro che certa ed è leggermente prematuro litigare su assessori molto di là da venire.
Il problema è che Damilano è stato scelto da Salvini ma si considera un candidato civico. Dunque nella spartizione da manuale Cencelli non è chiaro se fa punteggio in quota Lega o se il partito di Salvini può rivendicare la quota degli assessori spettanti sulla base dei risultati elettorali. Gli alleati ovviamente puntano a considerare Damilano in quota Lega e si mettono di traverso minacciando di mandare tutto a monte. Così Salvini dichiara di pensare ad una candidatura alternativa a Roma dove pareva che il centrodestra avesse già scelto Bertolaso.

Il solito caos di un’alleanza che non sa governare, che non sa vincere. E che ignora la realtà. Innanzitutto perché la sinistra resta comunque favorita a Torino e poi perché Damilano, qualora vincesse, si circonderebbe di assessori scelti da lui, non dai partiti. Magari lasciando ai politici le deleghe meno determinanti per il futuro della città. D’altronde non è che si noti proprio una qualità eccelsa tra le figure espresse dal centrodestra. È vero che se hanno fatto gli assessori Giusta e Lapietra, può governare chiunque. Però Torino ha bisogno di un rilancio, non di proseguire nel declino infelice.