Pesca commerciale, turismo nei parchi marini e degli ambienti costieri in genere rendono il monitoraggio delle dinamiche temporali delle specie ittiche commerciali di grande aiuto a chi ha in carico la definizione delle politiche di management della pesca per individuare al meglio aree e periodi in cui interdire oppure favorire la pesca.
A dare un contributo di assoluto rilievo, attraverso computer vision e intelligenza artificiale, è lo straordinario lavoro – i cui studi sono stati recentemente pubblicati su Scientific Reports – di un team internazionale di ricercatori coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio Nazionale della Ricerche (Cnr-Ismar) di La Spezia in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Università Politecnica della Catalogna ed il Consiglio Superiore di ricerca scientifica spagnolo (Csic).
Prima e dopo
Se tradizionalmente le immagini acquisite vengono visionate da biologi esperti che contano i pesci contenuti in ogni singola immagine, nell’articolo scientifico pubblicato – ci spiega Simone Marini, coordinatore del team internazionale – “la stima del numero di individui per immagine avviene automaticamente e questo permette l’analisi automatica di grandi quantità di immagini ottenendo una stima delle variazioni temporali di abbondanza (e.g. giorno-notte, stagionali, annuali) su periodi molto lunghi, nell’ordine di anni”.
Si tratta di dati di abbondanza che, insieme ad altri parametri biologici, fisici e chimici, sono utilizzati al fine di approfondire la comprensione del funzionamento degli ecosistemi marini e di conseguenza prevederne eventuali variazioni in funzione dei cambiamenti ambientali: di temperatura, salinità, acidità ma anche cambiamenti nell’assemblaggio delle specie e quindi cambiamenti negli equilibri tra prede e predatori.
Apprendimento automatico supervisionato
Sostanzialmente è l’addestramento di un metodo di riconoscimento tramite un insieme di esempi.
Avete presente quando, con i bambini, usiamo gli esempi per insegnare loro a riconoscere un oggetto? Così avviene quando a un algoritmo si vuole insegnare a riconoscere i pesci contenuti in immagini subacquee: l’insieme di esempi consisterà in immagini in cui compaiono pesci (esempi positivi) e in cui non compaiono pesci (esempi negativi).
“Se gli insiemi di esempi positivi e negativi usati per l’addestramento – continua Marini – sono sufficientemente generali e rappresentano tutte le condizioni ambientali in cui vengono acquisite le immagini, al termine dell’addestramento l’algoritmo sarà in grado di riconoscere automaticamente i pesci contenuti in nuove immagini non analizzate durante la fase di addestramento tenendo conto di un margine di errore che si concretizza in un certo numero di falsi positivi e falsi negativi”.
L’algoritmo di apprendimento automatico studiato e sviluppato è stato addestrato con circa un migliaio di esempi positivi e circa ventisettemila esempi negativi.
L’Internet of Things nella comunità delle scienze marine
Pur trattandosi di una disciplina di sicuro interesse non è ancora consolidata nel settore: alcuni osservatori marini usufruiscono di Internet solo per trasferire dati acquisiti verso repository condivisi; altri osservatori, a causa delle zone remote in cui sono dislocati, non sono dotati di connessione ad internet e pertanto necessitano di intervento umano anche solo per recuperare i dati acquisiti.
Lo stato dell’arte
“L’originalità del nostro lavoro sta nel fatto che le metodologie finora proposte sono definite per contesti di acquisizione molto semplici, lontani dalle condizioni reali di monitoraggio del mare: in presenza di luce naturale, in acque limpide e per il riconoscimento di specie ittiche caratterizzate da colori sgargianti e forme che le caratterizzano rispetto allo sfondo. Al contrario, l’efficacia della metodologia che abbiamo proposto è stata dimostrata in contesti di acquisizione severi, caratterizzati da cambi di luce rilevanti (giorno-notte) in cui la scena è illuminata da luce sia naturale che artificiale, da acque soggette a periodi di forte torbidità e crescita di bio-fouling (cioè organismi marini colonizzanti) sulla fotocamera ed infine anche per il riconoscimento di specie ittiche che tendono a confondersi nell’ambiente per predare, oppure per sfuggire ai predatori”.
Limiti tecnologici ed economici
L’analisi di dati visuali, poiché tradizionalmente eseguita da biologi esperti, viene considerata un compito molto oneroso e di conseguenza poco praticato.
“La metodologia che abbiamo definito e sperimentato – continua – serve ad automatizzare questo tipo di analisi e vuole essere uno stimolo all’incremento degli approcci di monitoraggio non invasivi basati su dati visuali”.
“Per acquisire dati visuali servono dispositivi a basso consumo energetico che possano funzionare autonomamente per anni senza l’intervento umano e in condizioni ambientali severe come ad esempio quelle che si trovano ad alte profondità oppure nei mari polari”.
A questo proposito è importante sottolineare che CNR-ISMAR è titolare, insieme a una SME operante nel settore ICT, di un brevetto internazionale per un dispositivo di acquisizione ed elaborazione immagini (https://data.epo.org/gpi/EP2863257A1) che è stato sperimentato sia nel mare Mediterraneo sia nel Mare di Ross, presso la stazione di ricerca Italiana Mario Zucchelli, in Antartide.
Non meno significativi i vincoli economici.
“Gli approcci tradizionali si basano su indagini molto localizzate tramite l’utilizzo di subacquei che acquisiscono dati visuali, sull’utilizzo di veicoli teleguidati equipaggiati con telecamere che però necessitano dell’appoggio di navi di supporto e quindi hanno costi molto elevati, oppure di metodi invasivi come l’utilizzo di reti da pesca.”
“Al contrario, la computer vision e l’intelligenza artificiale permettono l’analisi automatica di grandi quantità di dati con costi molto contenuti e risultati molto affidabili.”
L’importanza della biodiversità
Un monitoraggio affidabile di grandi quantità di dati su scale spaziali e temporali molto estese, permette di quantificare in modo oggettivo gli impatti dei cambiamenti globali dovuti sia al clima sia agli aspetti antropici.
Allo stesso modo, un monitoraggio efficace permette anche di quantificare i benefici dovuti ad eventuali azioni di recupero degli ecosistemi.