Il concorso esterno in associazione mafiosa, anche detto concorso esterno al 416 bis riguarda chi non fa parte dell’associazione ma offre un contributo all’attività della stessa. Si intende quindi punire, con questa fattispecie di reato, tutti coloro che, pur non essendo “mafiosi” in senso stretto, aiutano il fenomeno o determinate cosche mafiose. Trattandosi di un fenomeno complesso, in questo articolo tenteremo di descrivere il concorso esterno in associazione mafiosa spiegato in modo semplice.
Non esiste di per sé una fattispecie di concorso esterno in associazione di stampo mafioso: il reato è infatti di “creazione” giurisprudenziale, attraverso quattro sentenze determinanti, che vedremo in seguito. La giurisprudenza ha così adattato il 110 del codice penale, che prevede appunto il concorso esterno, al 416 bis il reato che prevede l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Tra le sentenze rilevanti vi sono la sentenza Demetry del 1974, la sentenza Carnevale del 2002, la sentenza Mannino del 2005 e la sentenza Contrada del 2015.
La sentenza Demetry: introdotto il concorso esterno al 416 bis
La prima sentenza a prevedere il concorso esterno in associazione mafiosa fu la sentenza Demetry, del 1974. In questa pronuncia si differenziò tra il partecipante all’associazione e concorrente esterno. Si disse che partecipante all’associazione di stampo mafioso è chi svolge un ruolo nell’associazione e possiede l’affectio societatis, cioè sa di far parte dell’associazione stessa. Si richiede quindi il dolo specifico. Concorrente esterno è invece chi offre un contributo causale all’associazione in un momento di crisi, ovverosia quando l’associazione non può fare affidamento sui propri mezzi. La sentenza Demitry parla di un “momento di fibrillazione” dell’associazione, ossia un momento di difficoltà della stessa dal quale il concorrente esterno contribuisce a uscire.
Il soggetto deve rendersi conto di stare contribuendo: deve quindi rappresentarsi che la propria condotta stia aiutando l’organizzazione di stampo mafioso. Pertanto per la partecipazione si richiede il dolo specifico e l’affetto societatis, mentre perché vi sia concorso esterno si richiede il dolo generico e la fibrillazione.
Sentenza Carnevale: “il giudice ammazzasentenze” concorrente esterno?
La sentenza Carnevale del 2002 riguardò un giudice, Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale della Corte suprema di cassazione dal 1985 al 1993. Carnevale fu accusato di concorso esterno per aver aggiustato alcuni processi, annullando per vizi di forma numerose sentenze. Si sospettava una sua connivenza con la criminalità organizzata. Nella sentenza Carnevale si allarga la fattispecie del concorso esterno, includendo “ogni condotta idonea a mantenere o rafforzare il vincolo associativo”, indipendentemente dalla fibrillazione. Si richiede però il dolo diretto, cioè il soggetto deve sapere che la sua condotta sta rafforzando o mantenendo il vincolo associativo e deve agire in tale direzione.
La sentenza Mannino: valutazione ex post
La sentenza Mannino del 2005 restringe la fattispecie oggettiva. Rimane il dolo diretto, ma si richiede che la valutazione del rafforzamento o del mantenimento del vincolo associativo in relazione alla condotta sia fatta ex post. Bisogna seguire la legge scientifica di copertura e ne va verificata l’applicazione al caso concreto. Si usa quindi l’orientamento della sentenza Franzese, di cui abbiamo parlato in questo articolo.
Può essere sufficiente anche la mera disponibilità, ossia il comportamento del soggetto che si offre di fare un certo atto anche se questo non viene in essere, purché la disponibilità sia stata idonea a rafforzare o mantenere il vincolo associativo valutando ex post. Risulta quindi molto difficile valutare il concorso esterno in associazione mafiosa. Un esempio difficile da sciogliere può essere il caso di un imprenditore con rapporti con la criminalità organizzata: non si può distinguere quando vi sia concorso esterno e quando invece si sia vittime della forza di intimidazione.
La sentenza Contrada: sentenza pilota o caso individuale?
La sentenza Contrada del 2015 riguardò un membro dei servizi segreti che aveva passato Informazioni alla mafia. Fu condannato nel 1996: la CEDU nel 2005 disse che l’Italia aveva violato il principio di prevedibilità delle norme penali, che, assieme alla accessibilità, compone il principio di irretroattività delle leggi penali. Quando Contrada commise il fatto, infatti, la fattispecie non era sufficientemente definita. Contrada venne pertanto scarcerato e l’Italia fu condannata a risarcire per l’ingiusta detenzione. Ci si interrogò quindi se la sentenza della CEDU fosse una “sentenza pilota”, cioè se fosse una guida per tutti gli altri casi. La preoccupazione infatti era che si potesse applicare anche ai cosiddetti fratelli minori, ossia a tutti gli altri casi di concorso esterno in associazione mafiosa precedenti alla sentenza Demitry – la fattispecie viene infatti applicata sulla base della giurisprudenza vigente al momento della commissione del fatto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il 24 ottobre del 2019 hanno detto che non è una sentenza pilota, in quanto la sentenza CEDU vale solo per il caso Contrada.