Periodicamente esplode sui Social la polemica sulla figura di Cesare Battisti. Polemica viva soprattutto quassù, in questo Trentino sospeso tra diverse memorie e fedeltà patriottiche. Dove per certuni Battisti è un eroe. Per altri un traditore, che ha avuto solo ciò che meritava.
Punti di vista. E polemiche abbastanza sterili. Fuori tempo massimo. Non fosse che sono, però, la spia di ben altro. Di una, forse più questioni, che riguardano la, cosiddetta, “identità italiana”. La nostra identità, insomma. Perché tale è, comunque. Ci piaccia o meno.
L’Italia esiste, per lo meno, dalla fine del Medioevo. Dal trecento. Dante si sentiva “italiano”. Pur riconoscendo come patria Firenze. Ed essendo uno strenuo difensore dell’Impero.
Il nocciolo sta in questo. In una identità fatta di più cerchi concentrici. Ognuno dei quali ha la sua importanza. E non può, però, negare gli altri.
Prendo, per semplicità non per albagia, il mio caso personale. Io sono Veneto di nascita. Anzi, cittadino di Venezia, essendo nato e vissuto a lungo a Mestre, la terraferma veneziana. Ma i miei genitori, pur essendo nati entrambi in Veneto, venivano da famiglie di origini molto diverse. Salernitana quella di mio padre. Metà lombarda e metà piemontese quella di mia madre.
Un casino… a casa si parlava per forza italiano. Altrimenti sarebbe stata la Babele delle lingue…
Dunque, io cosa sono? Veneziano… ancorché di “campagna”, mi viene detto. E anche ammettendo questo, a chi dovrei fare risalire la mia identità? Tradotto: a chi dovrei sentirmi fedele?
Alla Repubblica di Venezia, certo. Che per me resta un modello di equilibrio politico e sociale. Come spiega meravigliosamente il Maranini nel suo capolavoro “La Costituzione di Venezia”.
Ma la Repubblica del Leone è solo una parte del mio retaggio. Vi è l’Impero. Quello asburgico. Altro esempio di buon governo. E di stato multinazionale e multietnico. Per altro, ho studiato a Trieste. Vivo in Trentino. E amo, profondamente, gli scrittori che Claudio Magris ha definito ne “Il mito asburgico”.
Musil, Broch , Joseph Roth, Werfel…
Però accanto a loro pongo, forse inconsapevolmente, altri autori. Come il lucano Carlo Alianello. Difensore del Sud e del retaggio borbonico. E cantore, in quel capolavoro dimenticato, che è “L’alfiere”, della estrema fedeltà al proprio onore. E al giuramento.
E vi è l’eco del “Cuore ” di De Amicis. Letto alle elementari su istigazione di una vecchia maestra. Napoletana e Monarchica convinta.
E vi è il bisnonno lombardo, ferito sull’Isonzo, combattendo contro quelli che chiamava “i todeschi”. Gli austriaci. Lui, che assomigliava al Kaiser Francesco Giuseppe.
Mi contraddico? Sicuramente. Ma l’identità italiana è un magma di contraddizioni.
Dove coesistono Curtatone e Montanara, con le divisioni del Maresciallo Gyulay a Solferino. Divisa bianca, ma veneti, trentini, friulani.
E stanno, anzi devono obbligatoriamente stare insieme, i marinai veneziani, chioggiotti ed istriani che a Lissa vinsero al comando di Tagetthoff, e abbordarono l’ammiraglia italiana di quel “mona” di Persano, al grido di “Viva San Marco!”, Con Garibaldi e le sue Tigri d’America che difendono il Gianicolo da “l’oltraggio gallico”. Come scrisse il Carducci.
Cesare Battisti era un suddito, e ufficiale asburgico. Ma si sentiva (e il sentirsi non è cosa da poco) italiano. Disertò e passò all’altra parte. Pagò con la vita. Punto.
Per altro era trentino. Terra di confine, dove questi contrasti, queste contraddizioni, si avvertono più forte che altrove.
Ed era, per inciso,un socialista nazionale. Altra contraddizione precipuamente italiana. Come un suo compagno romagnolo, che scrisse “Il Trentino visto da un socialista”. Chissà… fosse vissuto…
Guardo la sua foto mentre si avvia al patibolo. Testa eretta. Portamento sicuro e fiero.
Tutte queste polemiche non hanno senso. Dovremmo solo imparare a recuperare tutte le nostre, contraddittorie, storie.
E ad esserne orgogliosi.