L’epidemia di coronavirus continua a mietere vittime nell’intero globo e sembra, dai dati dell’ultima settimana, aver spostato il picco di casi accertati dal continente europeo a quello americano.
Oltre alla difficile situazione vissuta dagli Stati Uniti in cui Donald Trump si trova a dover fronteggiare crisi sanitaria ed economica proprio in concomitanza con l’inizio della campagna elettorale per la rielezione alla presidenza, nel sud del continente il Covid-19 si espande con facilità.
A determinare la diffusione del virus sono indubbiamente alcuni fattori socio-economici fra i quali: l’alta densità abitativa delle megalopoli del subcontinente, le precarie condizioni igienico-sanitarie di interi quartieri (su tutti le favelas) spesso non raggiunti nemmeno dalle condutture idriche, l’impossibilità di imporre un lockdown ai tantissimi cittadini che non avendo un risparmio privato sono costretti a recarsi lo stesso a lavoro per poter avere a disposizione il minimo indispensabile con cui acquistare i beni di prima necessità.
In testa al triste primato di contagi e vittime figurano, al momento, il Brasile e il Perù, stati che concentrano moltissimo i propri abitanti in alcune città (la capitale peruviana Lima con i suoi dieci milioni di abitanti ospita poco meno di un terzo dell’intera popolazione della nazione andina mentre Rio de Janeiro e San Paolo ne contano complessivamente venti milioni).
Non è un caso che il restio, al limite del negazionismo, presidente verde-oro Bolsonaro abbia iniziato a mostrarsi in pubblico con la mascherina mentre il nuovo ministro della Sanità, più vicino alla massima carica istituzionale del Paese, abbia finito col dimettersi per incompatibilità dopo aver constatato che la richiesta delle stesse misure cautelative predisposte dal suo predecessore venivano rigettate in seno all’esecutivo di Brasilia per volere dello stesso Bolsonaro.
Maggiormente sotto controllo, almeno stando ai dati forniti dai governi, le situazioni di Argentina e Venezuela. Quest’ultimo si trova, però, nuovamente a fare i conti con il Fondo Monetario Internazionale. L’organizzazione intergovernativa ha, infatti, respinto le richieste di prestiti per fronteggiare l’emergenza sanitaria di Caracas e Managua, concedendo a ben 11 Stati latinoamericani (Bolivia, Costa Rica, Dominica, Ecuador, El Salvador, Granada, Haiti, Panama, Paraguay, Repubblica Dominicana e Santa Lucia) quanto richiesto.
Impossibile non vedere dietro ciò una mossa strategica per stringere ancor più la morsa intorno ai governi socialisti che resistono nel subcontinente a liberismo e imperialismo di matrice nordamericana.