Diceva Louis Ferdinand Céline di aver smesso di raccontare storie. Per diventare cronista.
Strana affermazione, da parte di quello che è stato uno dei massimi scrittori del secolo scorso. E un grandissimo narratore di storie. Da “Viaggio al termine della notte” a “Morte a credito”….sino a quella tragica saga che è “Trilogia del Nord”.
Il dubbio, però, si chiarisce subito, non appena Céline afferma che la maggioranza degli scrittori è in cerca di storie. E il mondo è colmo di storie. Belle, brutte, tragiche, allegre…gli scrittori ne afferrano alcune. E cercano di narrarle alla bell’e meglio.
Ma a lui le storie non interessano. Interessa lo stile con cui le si narra. E pochi sono gli scrittori che hanno uno stile. Davvero pochi. E Céline è stato, indiscutibilmente, un autore di stile unico. Rivoluzionario e ineguagliabile. Anche se in tanti – io compreso, in questi modesti articoletti – tentano, vanamente, di imitarlo. Soprattutto nel suo aspetto più appariscente. I famosi “puntini”, i periodi sospesi. Inconclusi.
Imitazioni solo formali. Al massimo, come la mia, un “esercizio di ammirazione”. Che sfiora, ma non riesce a cogliere la vera sosta dello stile di Céline. Che, appunto, ha a che fare con le “storie” da narrare. O, come lui preferiva, di cui essere cronista.
Perché ha ragione: il mondo è pieno zeppo di storie. Anzi, ne ribolle e rigurgita. Tante, che vengono da ogni dove, ti circondano. Ti assaltano. Saturano l’aria intorno a te. Non serve immaginazione, né fantasia. Né cultura. Se vuoi narrare, basta che ne afferri una fra le tante. E cerchi di metterla giù in parole, così come puoi.
Ma le storie sono vita. Ribollente. Caotica. Vengono da un altrove che chi cerca di narrare, quasi sempre, non coglie. Un altrove da cui vengono i Sei Personaggi di Pirandello. Che chiedono, disperatamente, di avere forma. Ma gli attori non riescono a darla loro. Non riescono a dare espressione alla vita, senza ucciderla. Chi narra, spesso, rende cadaveri le storie.
Di qui il problema dello Stile. Del farsi Cronista di Céline.
Intorno a noi si intrecciano storie, vicende umane di ogni tipo. Basta fare silenzio in noi. Cosa, per altro, non facile, perché siamo ossessionati dal nostro soliloquio interiore. Fare silenzio. Rendersi vuoti. Ascoltare e guardare.
Le storie ci vengono incontro. E sono, più o meno sempre, storie difficili.
Matrimoni falliti. Fallimenti sul lavoro. Solitudini. E compagnie che sono molto peggio della solitudine.
Tormenti psicologici. Falsi amori cui ci si abbarbica come a zattera fra i marosi. Figli che si sentono poco amati e rifiutati. Figli amati troppo, e in modo sbagliato. Storture dell’infanzia che divengono dramma di tutta la vita. Tradimenti. Fisici e, ancor peggio, spirituali. Sessualità contorte e insicure. Paure, soprattutto paure.Della solitudine, dell’abbandono. Di non essere amati.. E di non sapere amare. Paura del male e delle malattie. Paura della morte, soprattutto. Che si traduce, inevitabilmente, in paura di vivere.
Certo. Dalle profondità abissali del tempo, qualche voce giunge ancora a dirci che non è tutta qui la Vita. Anzi, che questa non è la Vita. Ma Céline era uomo del nostro tempo, roso dai tormenti di una coscienza che guardava allo squallore di quella che chiamiamo realtà, senza infringementi. Senza veli di ipocrisia. Spietato. Forse perché era medico. E medico vero. E sapeva che la finzione non cura. Rende solo putrida la piaga.
Di qui il suo farsi Cronista. Che significa registrare le storie così come vengono. Senza pretesa di dare loro un qualche senso astratto. Di concluderle. Di chiuderle in gabbie razionali.
Il Cronista le descrive per come sono. Magma. Frammentarie. Incompiute. Di qui l’importanza dello stile. Quei famosi, famigerati, puntini. Il senso di sospensione. La realtà non è definita. È sempre in fieri… un perenne divenire, come l’abusato fiume di Eraclito. Solo che le acque di questo fiume sono, oggi, molto più torbide. E oscure.
Cèline è un autore che non dona alcuna speranza. Né illusioni. Descrive, da cronista, il grigiore quotidiano. Le sentine putride e maleodoranti dell’esistenza ordinaria.
Cattivo, forse. Certo feroce…
Ma le sue “cronache” ti aprono gli occhi. Sono opprimenti. Ma hanno la funzione del fiume che Eracle devia per ripulire le Stalle di Augia.
È necessario vedere la lordura per potersi liberare di questa.
In fondo, il lavarsi con l’acqua sporca per restare puliti. Come dice Nietzsche. Un altro cronista cattivo.