È stagione di fantasmi. Sì, lo so, halloween, Ognissanti o come diavolo lo volete chiamare è passato ormai. Il Mundus romano si è, per tradizione, rinserrato. E tuttavia questa resta la stagione dei fantasmi. Perché, come dice un vecchio adagio, a San Martino l’inverno è ormai vicino. E i fantasmi, si sa, amano il freddo, il ghiaccio, le nebbie…
Per carità, non che non vi siano in altri periodi dell’anno… solo che sono più… ritrosi. Meno pronti a manifestarsi. Per altro, un fantasma lo si immagina nelle brume invernali della brughiera che circonda un antico castello di Scozia… mica tra i palmeti sulla spiaggia di Copa Cabana… E le loro storie si raccontano accanto al camino ove arde il ceppo, magari la Vigilia di Natale, come era solito fare Dickens. Non in bermuda e canotta sotto il getto del condizionatore…
Detto questo, entriamo in argomento. Di fantasmi esistono molte.. diciamo categorie.
Non ci sono solo quelli che agitano rugginose catene nelle sale di antichi manieri. O Dame Bianche che svaniscono attraversando le pareti di ville settecentesche.
Anche i fantasmi hanno le loro propensioni. Esattamente come i viventi. E le manifestano proprio per i luoghi che sono soliti infestare.
Ora, non è qui il luogo, né il momento, per stilare un qualche catalogo dei fantasmi… Ed io non sono certo la persona più adatta. Mi risulta vi siano fior di specialisti che a ciò dedicano vita e sudore.
Mi limiterò, perciò, ad una sola categoria. Che, per varie e in fondo ovvie ragioni, mi sta particolarmente a cuore.
I fantasmi dei libri. Se vogliamo chiamarli così. Qvvero quelli che si aggirano per polverose biblioteche per lo più dimenticate. O fra i torchi arrugginiti e i piombi coperti di ragnatele di antiche botteghe di stampatori. Abbandonate da che i nuovi strumenti informatici, gelidi e asettici, hanno preso il loro posto.
Sono fantasmi malinconici. Nostalgici e che non suscitano spavento. Bensì una Struggente malinconia e nostalgia, appunto …
Sono fantasmi colti. Di vecchi librai e stampatori. Quelli che usavano ancora il torchio a mano. E qualche bibliofilo, anche. Legati ai libri. Quelli veri, non quelli virtuali. Stampati con caratteri eleganti come incisioni, su carta pregiata. E rilegati poi, con cucitura a mano e buona colla. Rilegature eleganti. Raffinate. In pelle o cartone compresso. E i titoli impressi in oro.
Libri dall’odore, anzi dal profumo inconfondibile.
Perché un libro non è solo il suo contenuto. Come oggi lo si riduce nelle versioni digitali. È anche la forma con cui si presenta. E che coinvolge i sensi. Li incanta, prima ancora che si dia inizio alle lettura. Quante volte si sceglieva un libro per la suggestione della copertina? O per il fascino sottile della sua rilegatura? Arte antica, che viene dai monasteri benedettini. Dagli Scriptoria ove, alla luce di fioche lampade, laboriosi monaci pregavano copiando e miniando…
Sono molti questi fantasmi. E si aggirano in città con una storia. Una storia di libri, biblioteche, stampatori… Storia di inchiostri selezionati con mani da alchimista. Di tessuti. Di piombi.
E forse in qualche Oscura calle di Venezia, si può incontrare il fantasma di Pietro Bembo – cui dobbiamo I fondamenti della nostra lingua, e che fu amante di Lucrezia Borgia – conversare animatamente con quello di Aldo Manuzio.
E a Milano si aggira l’ombra di Emilio Treves che discute con quella di D’Annunzio le iconografie liberty delle sue copertine. A Firenze il fantasma di Vallecchi insegue ancora sogni futuristi e novecentisti…
Potrei continuare….
Ma questo non è un articolo erudito. È un necrologio. A Torino ha chiuso definitivamente i battenti la UTET Grandi Opere. Ultima erede di un’editoria sontuosa, elegante. Raffinata.
E per le vie della città sabauda si agitano, melanconici, altri due fantasmi. Quelli dei fratelli Pomba, che la fondarono in una botteguccia di librai nel 1791.