Ogni paesaggio ha una qualche risonanza nell’animo umano. O, forse, vi è una sottile corrispondenza tra il paesaggio e lo stato d’animo. Una sorta di simbiosi di cui oggi, ordinariamente, non siamo coscienti. Anche perché la vita urbana, la vita in città sembra averci progressivamente sempre più alienati dalla natura. Portandoci ad una chiusura in noi stessi che ci rende praticamente ciechi, e sordi, a ciò che ci circonda.
In effetti la città moderna, monotona e affannata, scandita da orari ossessivi, sembra essere stata concepita proprio per questo. Per costringerci entro i nostri limiti, concentrati solo su noi stessi e, soprattutto, sul nostro dialogo interno. Su quell’affastellarsi di pensieri che ottunde la nostra percezione sensoria. La limita, impedendoci di… andare oltre. Di vedere, di sentire… di essere in armonia con la natura. Alla quale apparteniamo, certo. Ma che abbiamo progressivamente rifiutato, sino ad essere arrivati ormai a concepirla come un minaccia. Come la Nemica.
Il sogno, o meglio l’incubo di una società completamente sterile. Asettica. Priva di qualsiasi contatto con ciò che ci può contaminare. E uccidere. Ovvero con tutto ciò che si tocca, beve, mangia, respira…
Ed è così divenuta sempre più rara l’esperienza del rapporto, intenso ed emotivo, con la natura nelle sue molteplici declinazioni. Quasi un cascame romantico retaggio di pochi caratteri umbratili e sognanti. Poco inseriti nei riti e nei ritmi del mondo odierno.
Prendiamo i laghi. In genere se ne parla poco, solo in dépliant turistici. Per un turismo, tutto sommato, di nicchia. E si cerca di trasformarli in cattive imitazioni del mare, con spiaggette, sabbia importata, sdraio, ombrelloni, pedalò…. Il Garda in estate, surrogato dell’Adriatico per vacanzieri germanici….
Prendiamo, invece, i laghi, per come sono. Non necessariamente i grandi laghi. Quelli piccoli, circondati da catene di monti. Celati fra corone di boschi… Laghi come quello di Levico in Valsugana. O quelli di Baselga, sull’altopiano di Pinè. O ancora come il Lago di Mose, a San Vito di Cadore. Luoghi a me cari, per memorie antiche e recenti .. Ma ve ne sono innumeri sparsi lungo tutta la corona alpina e la dorsale appenninica. Ché l’Italia è terra vulcanica, e quindi costellata di laghi.
E i laghi, i piccoli laghi sono dei mondi. Mondi incantati. Popolati di presenze che, se si è capaci di silenzio, si possono avvertire. E, talvolta, si palesano. Le Signore dei Laghi. Fate celtiche, come quella che, nella saga bretone, porge ad Artù Excalibur. La spada magica.
Le Aguanes delle leggende dolomitiche. A volte si presentavano con aspetto spaventoso. Mezze donne mezzi serpenti. Altre come bellissime fanciulle dai capelli di fiamma e dagli occhi di acquamarina. Pericolose in entrambi i casi. Perché quando non incutevano paura, suscitavano un amore disperato. Che non conosceva pace….
I laghi, a ben vedere, sono così. Bellissimi. E inquietanti. Soprattutto al tramonto, e nelle lunghe notti invernali, sembrano popolati di misteriose presenze che aleggiano sulle loro acque. Voci, risa, musiche trasportate dal vento. Le acque, le profondità del lago esercitano un magnetismo. Ti attraggono verso abissi oscuri. Profondità che, però, sono in noi. Il lago del cuore… dice Dante. L’abisso interiore che resta, ordinariamente, al di sotto, o comunque estraneo alla nostra coscienza di veglia. E dove forse ci tendono agguati terribili mostri. Ma anche ci attendono stupende fate…
Photo credits by Maria Infantino