Beate le marionette, dice il (fu) Mattia Pascal pirandelliano. Perché vivono sempre sotto lo stesso cielo di cartone. E si muovono inconsapevoli che è qualcun altro invisibile, a tirare i fili. Inconsapevoli di venire mosse. E beate, perché non devono scegliere. Non devono prendere decisioni per la loro vita.
Le marionette, i burattini hanno sempre esercitato una fascinazione che oserei chiamare “magica”. Un potere nascosto. Perché rappresentazione della vita. O meglio di quella parvenza di vita che è l’esistenza. Ordinaria, quotidiana. Monotona e sempre uguale. Ma, proprio per questo, rassicurante. Non a caso Goethe fa nascere la Vocazione teatrale del suo Willehlm Meister da un teatro di marionette, che viene regalato al protagonista bambino. E una storia consimile la possiamo ritrovare nei Memoirs, l’autobiografia di Goldoni…
Non è solo, però, una suggestione artistica. Muovere le marionette, tirare i loro fili, inducendole a compiere delle parodie d’azioni, dà uno strano senso di potenza. Il percepirsi, per un momento, come artefici della “realtà”. Padroni di altri destini. Il sogno di tutti i “Maghi”. Essere come Dio. E viene in mente un racconto fra i più significativi di Borges. Il Golem. Il rabbino che guarda, con compartimento, la sua goffa creatura. E, forse, Dio che rivolge un simile sguardo al suo rabbino, lì, a Praga…
Senza dimenticare il” Truman Show “.
Mircea Eliade ha dedicato uno dei saggi di “Mefistofele e l’Androgine” proprio a corde e marionette. E il tema ritorna frequente in Pirandello, da cui sono partito. La vita, apparente, come una “grande pupazzata”. Il cielo di cartone. Oltre il quale è impossibile dire cosa o Chi vi sia. Chi tiri i fili, soprattutto, dei nostri destini. Perché, alla fine, torniamo sempre al mito greco. Alle tre Parche. Le tessitrici. Il teatro dei pupi ne serba il retaggio.
Beate le marionette. Perché non devono scegliere. Decidere. In quanto scegliere e decidere significa soffrire. I tormenti del dubbio. E del pensiero. Perché senza il dubbio non vi è inizio alcuno di attività pensante. E senza il pensare… beh, andate a rileggere Cartesio.
La differenza fra l’uomo e la marionetta sta proprio in questo. Nell’avere dei dubbi. E nel muoversi, anche a fatica, ma di propria volontà. Che sembra cosa ovvia. E non lo è, in quanto la volontà in noi dorme sonni profondi. Comatosi. E, quindi, ci lasciamo muovere, trascinare, dirigere… E, in fondo, ne siamo felici. Strana felicità, certo. Che nasce dal non avere responsabilità. Dal non essere costretti a pensare.
Meglio, molto meglio lasciar fare al burattinaio. A chi decide per noi, e ci dice cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Che cosa dobbiamo temere. E per quanto i movimenti che ci impone possano essere assurdi, sconclusionati, persino nocivi, ci adattiamo. E li rendiamo la “normalità”.
Sempre meglio che provare a pensare. Sempre meglio che osare essere Uomini.