Tempo d’inverno. E tempo di fiabe… Sì, lo so, all’inverno secondo calendario mancherebbe ancora più di un mese… Ma io seguo l’uso antico. Dopo i morti si mette il cappotto e via così sino a primavera. E non mi venite a dire che in questi giorni fa caldo, 17 gradi e c’è un bel sole… Mai sentito parlare dell’estate di San Martino? Eccola qua… E tu cerchi l’albicocco in fiore e senti del prunalbo l’odorino amaro… Come più o meno, scrive il Pascoli. E se lo dice lui…
Insomma, questa è l’Estate fredda dei Morti. E da ben prima che vi fosse la festa cristiana. Non per nulla, proprio l’8, a Roma era Mundus Patet. E si apriva la, misteriosa, fossa da cui uscivano i Mani. E camminavano fra i viventi…
Ora, mi si potrebbe chiedere che c’entra questo con le fiabe… C’entra, c’entra. Abbiate pazienza…
Dunque, è tempo di fiabe. Che, da sempre, si raccontano nella stagione fredda. Nelle stalle, o accanto al camino. Per chi c’è l’ha. Altrimenti va bene anche un termosifone o una stufetta…. l’importante è spegnere il televisore. Che ci racconta, ogni momento, ben altro tipo… di fole.
Ma veniamo alle fiabe. A me non piacciono le, pur graziose, versioni moderne, edulcorate come mashmellows… Preferisco quelle originali. Dei Grimm, e se possibile, anche più antiche…
Come quella del Pifferaio Magico. O del Pifferaio Variopinto, come si dice in Inghilterra, dove questa fiaba ha avuto molte interpretazioni e declinazioni. Tra cui, se non vado errato, anche quella di Browning… e non è poco.
Comunque la fiaba è tedesca. Hamelin, dove si svolge , è in Bassa Sassonia. E anche il periodo storico è ben definito. Il ‘300, l’ epoca della grande pestilenza. Quella vera. Quella che accoppava il 70% circa degli abitanti di una città. Non lo 0,01… ed ogni riferimento alla nostra quotidianità è, ovviamente, casuale…
Comunque avevano capito che la peste la portavano i topi. O meglio i ratti grigi giunti dall’Asia. Quelli che, dalle mie parti, si chiamano pantegane. E che da bambini ci si divertiva a cacciare con archi e frecce ricavate dalle stecche di ombrelli.
Oggi si dà la colpa ai pipistrelli o ai visioni. Allora si cercava di sterminare i topi… Ed ecco il nucleo storico della fiaba…
Ma naturalmente c’è dell’altro. Molto altro. La montagna, in cui il pifferaio fa sparire i bambini, esiste realmente. È Coppenbrügge, antica sede di riti pagani. E quindi considerato un luogo magico. E temibile.
E poi il pifferaio. Magro, piccolo. Forse anche un po’ zoppo… E vestito di stracci multicolori.
Ricorda Arlecchino, dirà qualcuno. .. già, ma Arlecchino non è solo la maschera della Commedia dell’arte. Molto prima era una figura demoniaca. La leggenda di Hallequin. E il suo volto deforme lo ricorda…
Dunque, si torna sempre al Diavolo. Perché tale è il Pifferaio. Un Diavolo che illude gli abitanti della cittadina sassone di salvarli dai topi. E, per traslato, dal micidiale morbo. Ma poi la fa loro pagare molto cara. Si porta via i loro figli. O, almeno, le loro anime. Per trascinarle nelle profondità della montagna. In un altrove che è stato immaginato e rappresentato in molti modi. Ma che, nella fiaba originaria, appare come un’ombra cupa…
Una morale? Nessuna, anche se sarebbe facile dire che bisogna guardarsi dai pifferai che promettono di salvarti. E distruggono il futuro dei tuoi figli…
Ma le fiabe non hanno una morale come le favole esopiche. Come i miti, da cui derivano, non parlano alla mente. Ma a qualcosa di molto più profondo…