Piove. Pioggia fitta, fredda. Già con un sentore pungente d’inverno. L’Estate, effimera, ingannevole, dei Morti è, ormai dietro le spalle. E, come si suol dire, dopo San Martino l’inverno è ormai vicino…
La sensazione è resa più acuta dal silenzio. Non assoluto, certo, ché il rumore di alcune automobili che passano non lontane, lo interrompe a tratti. Innaturale, però, in città.
Un silenzio chi mi trasporta in altri luoghi, in altri tempi. Non esperienze vissute, non ricordi personali…. piuttosto, una memoria genetica. Ancestrale. Che riaffiora.
“Duemil’anni forse di gente mia campagnola…” scrive Ungaretti ne “I fiumi”. Memoria di una civiltà contadina dalla quale proveniamo. E che abbiamo abiurato e cercato, in tutti i modi, di dimenticare. Di negare a noi stessi.
Una civiltà che, quando sul farsi dell’inverno calavano le tenebre, entrava nel silenzio. Un silenzio antico, che si ricollegava alle origini dell’uomo. Al suo retaggio. E che, forse, ispirò a Leopardi quel “sovrumani silenzi” che mi ritorna in mente, ossessivo, in questa solitudine.
In quel silenzio, gli uomini si riunivano accanto al fuoco. Narravano storie. O semplicemente tacevano, stanchi, guardando ardere i ceppi.
E mangiavano. Non c’erano gli orologi a scandire il giorno. Si andava col ciclo del Sole. E al tramonto si cenava. Fossero le cinque pomeridiane non importava. Le pentole erano sul fuoco. I deschi apparecchiati. La giornata era giunta a conclusione…
C’è un cibo che, forse più di ogni altro, rappresenta quella cultura. La polenta. Preparata con pazienza in capaci pentole di rame. E servita bollente. Accompagnata da altre pietanze, o condita in diversi modi. O anche sola, se l’annata era grama.
Era, per eccellenza, il piatto forte sulle tavole contadine. Nella stagione della pioggia e del freddo, calda, fumante, confortava. E spesso trasmetteva un senso d’allegrezza, soprattutto se accompagnata ad un bicchiere di vino. Pascoli, che della civiltà contadina è stato, probabilmente, il massimo ed estremo cantore, ne parla in poesia. Ed anche in prosa. Ma innumeri sono le citazioni letterarie.
Pulci e Rabelais. Manzoni. Boito…. E indietro nel tempo, Persio, il satirico dell’età Neroniana. Morto giovane, più che un poeta era un filosofo. Allievo dello stoico rigorista Anneo Cornuto. E per lui la polenta, “pulsa” in latino, è il simbolo di una vita semplice. Austera. Che rifiuta gli eccessi e la crapula della società imperiale. Di una Roma corrotta.
Perché la polenta è antica. L’uso risale a ben prima che, dalle Americhe, giungesse il mais, con la quale oggi siamo solito identificarla. La polenta, la pulsa antica, si faceva con diverse farine. Col farro, soprattutto, ancora in uso nel bergamasco per preparare la compatta e grigia Taragna.
Era cibo invernale, come dicevo. E buono per i tempi difficili. Perché saziava. Spegneva i morsi della fame. Ed era cibo comunitario. Si riversava la polenta su un’asse. E tutti i convitati ne prendevano. Talvolta accompagnandola con una salsiccia. O un’aringa. Per insaporirla. Se c’erano formaggio e burro, meglio ancora un sugo, la si pasticciava. E diveniva piatto da festa. Insolitamente ricco e saporito.
E la polenta, nonostante il mutamento dei tempi, dei gusti e delle mode, è rimasto un cibo conviviale. Un piatto che, con la sua sola presenza sulla tavola, fa allegria. Scalda l’ambiente e permette di gustare meglio la compagnia.
Ricordo le serate, da giovane, trascorse in una trattoria appena fuori città. Si chiamava “Il turbine “. Pochi tavolacci di legno scuro. Le sedie impagliate. Un caminetto nel quale le braci scoppiettavano. Cibi semplici. Pasta e fagioli. Costicine e salsicce cotte alla brace. E fette di polenta abbrustolite. Vino rosso sfuso. Senza marca. “Della casa” si direbbe oggi. Lì si ordinava semplicemente Vino! E arrivava. C’era solo quello. E, anzi, non era neppure necessario ordinare. Era dato per scontato. Vino, polenta…
Si parlava molto. Si discuteva di tutto. Delle donne, questo mistero insondabile, e dei massimi sistemi della filosofia. Del campionato di calcio. Della politica, ché, allora, era politica vera, passione e ideologia…
Oggi la polenta compare sempre meno sulle tavole. La polenta vera, non i suoi tristi surrogati industriali. E soprattutto stanno sparendo le tavole con amici che parlano, discutono. Si raccontano storie. Come si è fatto da tempi immemorabil. Forse addirittura dalle grotte oscure del paleolitico.
Oggi sta sparendo ogni forma di convivialità. I precotti scaldati al microonde, i pani di plastica con insipidi hamburger consegnati a casa. La solitudine di uomini che stanno, ogni giorno di più, dimenticando le proprie radici…