È un cielo strano. Non riesco, quasi, a decifrare se sia notte o giorno. Non si vede il Sole, ma vi è, comunque, una luminosità diffusa. Ua luminosità azzurrata, però… che sembra… vibrare.
Sento profumi. Abeti, resine, muschi… sul fondo quel lieve, e piacevole, sentore di funghi… piacevole anche se sa di terra, di decomposizione. Di morte.
Avverto, più che vedere, la presenza di montagne. E di boschi.
Poi, una voce. Mi giro. E vedo un ingresso nella pietra ruvida dell’edificio. Perché vi è un edificio. Grande. I balconi di legno adorni di fiori. Mi domando che fiori possano essere, in questa stagione… Gerani, forse. Ma il rosso è solo uno dei molti colori… Vi è il croco. L’azzurro…
Già, ma che stagione è, poi?
Avverto una punta di freddo. Non troppo. Ma non può più essere estate, certo. Autunno? Dagli odori… Ed ho anche la sensazione della neve. Non lontana. Poco più in là. Poco più in su.
La neve non ha profumo. Eppure la si avverte chiaramente. Un brivido diverso a fior di pelle. Un’eco nelle narici…
La voce mi chiama di nuovo. Salgo due gradini. Ed entro.
Ora il luogo mi diventa, abbastanza, familiare. Non è proprio come una memoria precisa. Un ricordo. O, meglio ancora, una rimembranza. L’ingresso del Posta. A Montagnaga. Nel Pinetano. I due divani. Gli oggetti alle pareti. L’ascensore. Le scale che portano al piano della Colazione. E dove c’è la prima terrazza.
Salgo. Ma le scale non sono quelle usuali. Sbilenche… no, piuttosto un dedalo. Un labirinto geometrico. Disegnato da Escher.
Sto sognando. Ormai mi è chiaro. Troppo incerti i confini delle cose. Troppo improvvise le Metamorfosi di forme usuali.
Eppure, tutto mi sembra intensamente… reale. Autentico.
Mi sovviene… sì è proprio un sovvenire, un’onda che viene e si ritrae… mi sovviene di una mia Amica, tanto tempo fa…
“Per me la dimensione del sogno è concreta quanto quella della realtà… Anzi, forse più concreta ancora…”
Anima celtica, pensai. Le donne dai capelli rossi che colgono fiori in giardini sognanti. Come nei dipinti di Waterhouse.
E il ricordo si interseca con Ernst Jünger. Frammenti da “Il cuore avventuroso”. Letti e riletti, a consunzoone delle pagine… Frammenti di sogno. Teneva un taccuino accanto al letto. Per annotare subito quanto sognato. Prima che la luce del giorno rendesse evanescenti le immagini…
Ora sono nella grande sala al primo piano. Cambio improvviso di sequenza, si direbbe in linguaggio cinematografico.
Tutto è uguale. Tranne i tavoli. Non sono rotondi. Lunghi tavolacci rettangolari. Di legno, senza tovaglie. Come in una vecchia taverna. Ma sono addobbati elegantemente. Centrotavola di pigne e agrifiglio. Le candele rosse. Il rosso prevale su ogni altro colore. La stessa luce sembra una sorta di nebbia di fuoco.
Gli amici, le loro voci… Qualche figura si muove. In ombra. L’illuminazione è fioca. Sento una voce di donna. Contralto. Intuisco il sorriso…
C’è vino sulla tavola. Bottiglie anforate di vino sfuso . Rosso. Lo assaggio… qualcuno mi ha passato un calice. Teroldego, direi, dal sapore forte e morbido. Fruttato di bosco.
E c’è cibo. Fumante. Capaci zuppiere di ceramica lavorata. Pirofile colme di carni arrostite. Polenta abbrustolita …. Ne sento i sapori. Anche se non mi pare di aver portato alcunché alla bocca…
L’atmosfera è calda. Conviviale. Si parla… già di cosa si parla? Il ricordo svanisce. Ma è bello. Lo sento. E sono felice…
“Papi! Papi! Perché non ti svegli? Non vai a letto?”
Apro gli occhi. Il sorriso, raro di mio figlio… Sono sul divano… Mi alzo e mi avvio verso la camera…
“Sai , papi… Prima, mentre dormivi, avevi la faccia allegra…”
Gli accarezzo i capelli…