Più cresce la conoscenza, più cresce il Dubbio… dice Goethe. Il Dubbio, al singolare. Con la maiuscola. Non i molti, troppi dubbi che sciamano continuamente nella nostra vita, insetti noiosi, fastidiosi. Come quelli che perseguitano in eterno gli Ignavi, nel Vestibolo dell’inferno dantesco.
Quelli sono i piccoli dubbi che ci angustiano e paralizzano. Il segno della nostra pavidità. Della nostra, stolta, ignoranza.
Poi vi è, appunto, il Dubbio. Quello che si affaccia nella mente man mano che avanzi, o credi di avanzare nella conoscenza. Quasi inutile, tautologico, evocare il “So di nulla sapere” attribuito a Socrate. Che del Dubbio fu, indiscutibilmente maestro. E su questo per una volta sembrano proprio concordare tutti. Platone e Senofonte, che pure di Socrate ci danno, in genere, immagini completamente diverse.
E, per paradosso della memoria e ironia (volontaria o no) delle sue eco profonde, mi viene in mente….Achille Campanile. Che potrebbe sembrare quasi una bestemmia, una profanazione, metterlo qui, con Goethe, Socrate e tant’altri… Eppure…
Eppure nelle sue “Vite degli uomini illustri”, il geniale e surreale umorista si inventa una storia di Socrate tutta… particolare. Dove il filosofo, ancora ragazzino, torna a casa da scuola. E il padre gli chiede “Che cosa hai imparato oggi?” e lui risponde, sempre, ogni giorno, con la stessa frase. So di nulla sapere, appunto. E, ovviamente, il padre si dispera. Come? Lui spende tanto per i suoi studi, e questo somaro nulla impara?
E avanti così per tutta la breve biografia. Chè Campanile era maestro in questi tormentoni… e nel rigirare lo stesso tema con continui, rutilanti, giochi di parole…
Insomma, un gioco. Uno scherzo. Una mezza scemenza, ad essere generosi… Però, secondo me, rende bene la differenza tra la mera acquisizione di nozioni e la conoscenza. Il padre, inventato di sana pianta da Campanile, vorrebbe che il figlio sapesse cose… Ma Socrate conosce, non sa. E quindi…lo delude…
Perché noi, troppe volte, confondiamo la conoscenza con un sapere astratto, superficiale… E pretendiamo di misurarla, di quantificarla come fosse un carico di patate o altra merce da pesare. Mentre la conoscenza, quella vera, è tutt’altro. È il Dubbio, appunto. Ma quel Dubbio radicale è, per certi versi, tale da azzerare ogni altro dubbio… minore. Ovvero i piccoli dubbi che vengono da lacune di quella che non è conoscenza, bensì mera erudizione. E anche piuttosto frammentaria e settoriale, come è ormai comune anche fra le, cosiddette, persone colte.
Amleto è, per antonomasia, l’incarnazione del Dubbio. Riferimento quasi scontato, lo so. Ma nessuna figura esemplifica così bene il tema quanto il Principe di Danimarca. Che, proprio perché cosciente della complessità dell’essere (ci sono più cose fra terra e cielo che nella tua filosofia) dubita di sapere. Non si illude di possedere una qualche verità assoluta. Una certezza monolitica. Ciò non gli impedisce di agire. Anzi… lo fa con determinazione quando diventa necessario. Ma lo fa, anche, senza la certezza della ragione. Lo fa per puro atto di volontà. Poggiando solo su se stesso. Perché chi conosce, dubita. E chi dubita deve imparare a danzare nel vuoto. In fondo qualcosa che fu intuito da Cartesio, quando, in una tenda da campo, vergò le pagine del Discorso sul metodo.
Qualcosa che era evidente a Nagarjuna, il più radicale dei grandi pensatori buddhisti. Il suo “Distruzione delle distruzioni” eleva il Dubbio ad arte. E disciplina intellettuale. La capacità di annientare ogni certezza, che si sviluppa approfondendo sempre più il conoscere. E che comporta indiscutibile dolore. L’abbandono di ogni alterigia. Di ogni porto sicuro. Soprattutto di ogni immagine di se stessi… Immagini che si infrangono in mille pezzi, come specchi deformanti…
Troppa filosofia, alla fine… Troppo elucubrare. Il Dubbio di cui parla Goethe non richiederebbe questo. Solo… il semplice riconoscimento che ogni sapere è illusorio. Anzi, alla fin fine, un ostacolo. Un muro che ti impedisce di vedere al di là del rovente muro d’orto che angoscia il giovane Montale.
Le cosiddette conoscenze che crediamo di possedere, e di cui ci beiamo compiaciuti, non sono altro che maschere poste da noi stessi sulla nostra bocca. Mascherine che ci costringono a respirare tossine. Ci proibiscono l’aria pura.
Il Dubbio è liberarsi di tutto questo. È respirare a pieni polmoni.