Un tempo, erano le religioni a raggruppare e a dividere gli uomini: epoche di oscurantismo e di fanatismo, di cui, oggi, possiamo permetterci di sorridere con compatimento, quando leggiamo le assurdità espresse dai processi alle streghe di Salem o dalle prediche di certi Savonarola.
Per fortuna che è arrivato l’Illuminismo a spazzare via le sciocche superstizioni e a sostituire le fedi con le ideologie: oggi, sono le idee politiche ad occupare lo spazio che, prima, nella nostra società, era interamente dedicato ai credi religiosi. E’ la politica la religione del terzo millennio.
Purtroppo, però, tocca dire che, in questa sostituzione, la sola cosa che sembra essere sopravvissuta delle antiche credenze, nella nuova, sia proprio la superstizione: il disprezzo per realismo e buon senso, sacrificati sull’altare del fanatismo più acefalo. Manifestazione palmare di questa assoluta dissociazione dalla realtà, operata da un asservimento del tutto supino al dogma ideologico, è l’autentica deformazione della storia e della cronaca cui assistiamo quotidianamente, andando al cinema o leggendo i giornali.
Il dogma in questione, di per sé, è originato da un’idea di perfetto buonsenso: i diritti dei bianchi e dei neri, dei gialli e dei rossi han da essere uguali. Sfido chiunque, dotato di ragione, a negarlo. La trasformazione ideologica di questa semplice verità, però, ha generato una vera e propria superstizione: un mondo rovesciato. Dunque, sull’altare del pensiero corretto e progressivo, vediamo film storici in cui Achille Piè Veloce diventa un nerboruto africano, in cui alla corte di Elisabetta I sembra di essere ad un party della Hollywood dem e perfino Heimdall, il guardiano del ponte che collega la città degli Aesir norreni agli altri mondi, ovvero il mito nordico per antonomasia, si trasforma in un nero, sia pure dotato di lenti a contatto cangianti.
La domanda è: perché? Se Cesare, Achille o Heimdall erano indubitabilmente bianchi, per quale ragione li dobbiamo far diventare africani? Revisionismo, sensi di colpa, amore del paradosso? No: semplicemente, abbandono della realtà in nome della fede. Miracolo da effettuarsi in virtù del dogma. Insomma, tra il rappresentare Achille come un robusto guerriero Masai e i processi di Salem, corre davvero pochissima differenza: identico è il fervore fanatico, identica la stupidità, identico sarà, immagino, il sorriso di compatimento, trascorso qualche secolo.
Che si tratti di religione politicata (o politica religionata) e non, come qualche furbone ha provato a sostenere, di semplice ruolo cinematografico, per cui nulla conta l’etnia dell’attore, è dimostrato dal fatto che a nessuno verrebbe mai in mente di fare interpretare Malcolm X, Martin Luther King, Mandela o anche solo Mohammed Alì da Brad Pitt o da Bradley Cooper. E, se lo facesse, verrebbe crocefisso, con cinepresa e tutto.
Tuttavia, il peggio, in materia di dissociazione dalla realtà, mi pare si possa serenamente attribuire alla sinistra di casa nostra: qui da noi, dove la sinistra, appunto, campa ormai soltanto di allarmi antifascisti e antirazzisti, il camouflage e la disinformazione sono diventati uno strumento di sopravvivenza. Già, la stampa, da anni, dà le notizie del tutto a modo suo: ventitreenne di Vigevano arrestato per spaccio di droga, quattordicenni di Seveso scoperte a rubare in appartamento, trentunenne di Poggibonsi stupra una vecchia di settant’anni ad Arezzo.
Poi, scopri (anzi, già lo sapevi) che il ventitrenne, le quattordicenni, il trentunenne, sia pure, magari, tecnicamente italiani, sono un marocchino, due rom e un nigeriano. Si tratta di piccole bugie, diciamo così, preventive: so che voi, brutti Italiani, siete razzisti, e, dunque, non vi do alcun pretesto per manifestarlo.
Ma il top è stato raggiunto da un giornale emiliano (e te pareva!), che ha descritto, senza paura del ridicolo, un arabo, di quelli con tanto di barbetta a collare di ordinanza, fermato, rilasciato e riarrestato nel giro di ventiquattr’ore per averne combinate di ogni, (tra cui palpare una vigilessa e menarsi l’attrezzo davanti a lei), definendolo “finlandese”. Capito bene? Il nostro menabigoli, evidentissimo rappresentante di un mondo felice in cui le donne si menano e si palpano ad libitum, siccome, magari, tecnicamente sarà pure cittadino finlandese, viene presentato dal giornalista come finlandese tout court.
Così il lettore si immagina Lappo Kirsveniemi che palpeggia la malcapitata vigilessa, e si dice: allora ‘sti finlandesi non sono poi così educati neanche loro! Peccato che, a margine del brillante pezzullo, ci sia la foto del sedicente finlandese, che rovina un po’ tutto. All’apparir del Vero, tu, misera, cadesti…
1 commento
Acuto e brillante! Da notare peraltro che al foglietto emiliano si sono poi adeguati tutti i giornaloni di Agnelli/De Benedetti..