Giornalista, avvocato, poeta, scrittore, compositore; scrittore, erede di una ricca famiglia dalle antiche origini nobiliari; seminarista e poi laureato in giurisprudenza. Sono le note biografiche di Pietro Gori, Errico Malatesta, Carlo Cafiero. Ossia di tre dei più noti esponenti del movimento anarchico italiano. Leonardo Rizzo, ieri su Electomagazine, sottolineava come gli anarchici siano “intellettualmente affascinanti”. Giusto, ma quali anarchici hanno ancora un fascino intellettuale? Perché, ovviamente, il fascino di Tolstoj di Proudhon e di Bakunin resta immutato.
E non solo in quell’area di una sinistra in crisi di identità. Perché gli anarchici non mancarono neppure nel fascismo ed in piazza San Sepolcro c’era anche Mario Gioda, tipografo, pubblicista e anarchico. E l’anarchico Edoardo Antonio Malusardi dopo aver guidato i fascisti veronesi prima della Marcia su Roma, si ritrovò con Mussolini anche a Salò.
Si potrebbe passare anche alla categoria “anarca”, da Prezzolini a Junger, ma si potrebbe inserire anche Céline ed Evola, magari pure Nietzsche. Ma non ditelo a Donzelli, potrebbe soffrirne. Sempre che abbia una vaga idea su chi siano questi personaggi. E che nessuno gli spieghi che i primi anarchici europei si annidavano tra i filosofi greci. E di anarchia scrive anche Omero.
Certo, anarchici molto diversi, tra loro. Ma molto più diversi rispetto agli psicolabili che, ora, si definiscono anarchici facendo rivoltare nella tomba tutti coloro che, per un ideale con il medesimo nome, hanno sacrificato la vita per migliorare quella altrui. A volte transitando dall’anarchia al socialismo, a volte sposando il marxismo, a volte seguendo D’Annunzio a Fiume o Mussolini nella Marcia su Roma.
Anarchici che studiavano, scrivevano, andavano in mezzo al popolo per insegnare a leggere e scrivere in anni caratterizzati da analfabetismo dilagante. Perché anarchia voleva dire far crescere la consapevolezza di tutti, migliorare il genere umano. Insegnare a pensare, non cancellare il pensiero con lo sballo continuo. Migliorare, non adagiarsi. Erano intellettuali che lavoravano, erano operai e braccianti che studiavano. Non erano sfaticati con reddito di cittadinanza. Erano lavoratori che si scontravano con i carabinieri per difendere i diritti sociali, non erano perditempo in lotta per tutelare i vizi privati.
Si è passati da “Addio Lugano bella” ai rumori intestinali spacciati per musica. Si è precipitati da Pietro Gori che scriveva l’inno del primo maggio ai nuovi anarchici che non riescono neppure a capire le parole di quell’inno.
Ed allora il “fascino intellettuale” dell’anarchia è rivolto esclusivamente al passato. Perché agli psicolabili manca il fascino semplicemente perché manca ogni sforzo intellettuale.