Maurizio Molan, Tra due mari. Storie di uomini, stretti e canali, Libreria Geografica, Novara 2022.
Charles Baudelaire, a suggello de Les fleurs du mal, nella lirica Le voyage, ha da par suo colto il fascino che le carte geografiche, gli atlanti e i mappamondi hanno, si può dire da sempre, esercitato sull’immaginazione infantile avida di sogni e di avventure: «Per il fanciullo vago di atlanti e mappe a stampa / l’universo ha l’ampiezza del suo vasto appetito. / Ah come è grande il mondo al lume della lampada / e come nel ricordo resta rimpicciolito!» È così che matura la voglia di viaggiare, di vedere altri luoghi, di conoscere il mondo. Se non altro, per evadere da quelli che Kerouac chiamava il «miserabile qui» e il «pidocchioso adesso». I viaggiatori di Baudelaire, arsi da un «interno fuoco», vogliono «scendere nell’abisso, Cielo o Inferno che sia, / e annegar nell’Ignoto, pur di trovarvi il nuovo». La lirica può pertanto leggersi come un manifesto della modernità, con quel tanto di hybris che la connota e che fa pensare al «folle volo» dell’Ulisse dantesco, perpetrato all’insegna della mera curiositas e della sfida sacrilega.
I veri viaggiatori non fanno che «cullare l’infinito che è in loro sul finito dei mari» e, «senza saper perché, dicono sempre: “Andiamo!”». La loro sete d’infinito è destinata a scontrarsi con la limitatezza del reale. L’aveva già intuito Leopardi: «Ahi, ahi, ma conosciuto il mondo / non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / l’etra sonante e l’alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio, appare» (Ad Angelo Mai). Come dire che l’immaginazione fa aggio sulla realtà, che pure ne stimola la «capacità d’infinito» (Pascal). Maurizio Molan, nel suo bel libro Tra due mari. Storie di uomini, stretti e canali, cita al riguardo un passo dai goethiani Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87: «L’immaginazione e la realtà stanno in relazione tra loro come la poesia e la prosa; quella abbellisce, magnifica le cose, questa le descrive quali stanno». Tra l’una e l’altra, tuttavia, egli non individua e non istituisce un’alternativa, in quanto le ritiene complementari. Ed è questa – come giustamente rileva Francesco Surdich nella sua puntualissima “Prefazione” – la sua carta vincente: l’utopia, il mito e quant’altro concorre ad alimentare l’immaginario sono categorie concettuali che non hanno solo contribuito all’evoluzione della geografia, ma, con il loro appeal, hanno anche avuto un ruolo essenziale nell’interpretazione e nel racconto in progress del mondo reale.
Non è un caso che Molan, al pari di Baudelaire, insista sulle radici infantili del suo interesse o, se vogliamo, della sua infatuazione per la geografia, perché la meraviglia del fanciullino che fu sopravvive oggi nell’attitudine, ad un tempo scientifica e didascalica, che lo ha indotto ad affrontare questo cospicuo lavoro di ricerca in otto sostanziosi capitoli corredati da numerose foto e arricchiti da pregevoli boxes di approfondimento. L’autore, che pure ha avuto modo di viaggiare e di conoscere molti dei luoghi qui evocati o descritti, non ha tuttavia dimenticato la lezione dell’Ariosto, che, tutto sommato, preferiva esplorare il mondo sull’atlante di Tolomeo, affidandosi cioè all’immaginazione. Egli, del resto, sa bene che al fascino dei luoghi contribuisce il sovrapporsi e il moltiplicarsi degli sguardi: di qui le frequenti citazioni letterarie, che fungono da filtri caleidoscopici. Al colore locale si aggiunge così il pathos temporale, alle visioni si frammischiano le emozioni, proprie e altrui. E discorrere di stretti e di canali è, in fondo, un pretesto per parlare non solo della loro conformazione geografica, sì anche della loro storia e, soprattutto, degli uomini che in qualche modo ad essi hanno legato i loro nomi, della loro vita avventurosa, dei loro meriti e demeriti.
La geografia s’intreccia inestricabilmente alla storia e alle infinite suggestioni che ne derivano. Né mancano le preoccupazioni legate all’inquinamento, al riscaldamento globale, ai cambiamenti climatici, alle tensioni internazionali, alle inarrestabili migrazioni dei popoli: tutti problemi d’attualità che travalicano i confini dei singoli Stati, peraltro storicamente labili e talora perfino indefiniti, in particolare quando siano marittimi. «Il mare – si legge nei Malavoglia – non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole». Ciò che divide – spiega Molan – unisce anche. Come attesta la stessa definizione enigmistica della parola “stretto”: «unisce due mari, divide due terre».
Quanto alla distinzione semantica tra “stretto” e “canale”, condividiamo appieno la cautela del prefatore, che invita ad evitare «definizioni troppo rigide e opinabili». Nonostante sia apprezzabile la proposta avanzata dall’autore, che ne connette la differenza alla qualità delle masse d’acqua che essi mettono in comunicazione: «se le acque sono di caratteristiche chimico-fisiche simili per densità, salinità, temperatura, allora si parlerà di canale»; se tali caratteristiche risultano invece dissimili, si dovrà parlare di «stretto». Resta in ogni caso l’originalità dell’assunto, finora, a quanto sembra, mai trattato in maniera così ampia e articolata, nei suoi infiniti dettagli e nei suoi mille addentellati, compresi quelli giuridici, economici, tecnologici. E senza trascurare le curiosità, cui è dedicato l’ottavo capitolo.
Leggendo questo libro, viene spontaneo dare ragione a Guillermo Cabrera Infante quando sottolinea l’importanza della geografia, che oggi, ahimè, la scuola italiana tende a trascurare: « La geografia è più importante della storia perché la contiene». Dalla geografia parte dunque l’affabulazione di Molan, davvero avvincente vuoi per la scorrevolezza del dettato, vuoi per la varietà degli argomenti toccati, vuoi infine per la ricchezza straordinaria di dati, informazioni, note di colore che, con certosina pazienza ma in genere senza pedanteria, ci ammannisce, spaziando dalla storia alla cronaca, da libri e resoconti di viaggio alla più aggiornata sitografia. Passiamo così dagli stretti del Mediterraneo a quelli turchi, dallo stretto di Bering (con particolare attenzione alla rotta artica) a quello di Magellano, fino a giungere infine a considerare i principali canali artificiali (Suez, Corinto, Kiel, Panama) e il canale della Manica. Epiche, a loro modo, le vicende che riguardano la costruzione e la storia dei canali di Suez e di Panama, ma non meno interessanti gli eventi legati al canale della Manica, non foss’altro perché qui ebbe luogo il D-Day, “il giorno più lungo” dello sbarco in Normandia.
Tra le curiosità, segnaliamo poi le pagine dedicate allo stretto «più strategico e instabile», quello di Hormuz, nonché le gustose considerazioni su “pirati, corsari, filibustieri e bucanieri”. E qui ci riallacciamo alla passione giovanile dell’autore, alle sue letture verniane e salgariane, ai sogni d’avventure e di viaggi esotici da lui e da tanti come lui coltivati sugli atlanti e sulle cartine geografiche. Egli a quell’epoca nulla, all’infuori del nome, sapeva di Giacomo Bove, il grande esploratore monferrino famoso per aver partecipato – lasciandoci dettagliate relazioni – sia alla spedizione Nordenskiöld alla ricerca di un passaggio di Nord-Est dall’Atlantico al Pacifico, attraverso il Mar Glaciale Artico, a bordo della nave baleniera Vega (1878-1879), sia alle successive esplorazioni della Terra del Fuoco e della Patagonia. Nondimeno, per una di quelle strane coincidenze che talvolta la vita ci regala, una delle sue prime esperienze di medico portò Molan a Maranzana e là, nella casa natale di Giacomo Bove, dove aveva sede l’ambulatorio, da una lapide murata nell’androne dell’edificio fu sinteticamente edotto delle sue vicende esistenziali. E da allora quel personaggio, alla stregua dei Sei personaggi in cerca d’autore di pirandelliana memoria, prese amabilmente a perseguitarlo nelle sue ricerche, quasi a chiedergli l’obolo di un ricordo. Come le ombre che nell’Ade si accalcano intorno ad Odisseo a pietire una goccia di sangue, un surrogato di vita. Così, in calce al suo libro, Molan, quasi a placarne i Mani, gli dedica un medaglione-ricordo particolarmente sentito.