Se la gauche culturelle avesse ancora uno storico credibile – nulla a che spartire con Scurati, in pratica – potrebbe iniziare la preparazione di una nuova versione de “Gli anni del consenso” che uno storico vero come Renzo De Felice aveva dedicato a Mussolini. Analizzando, questa volta, l’inspiegabile consenso di cui gode Giorgia Meloni. Oddio, quello mussoliniano era un autentico plebiscito mentre la Pina della Garbatella è accreditata dai sondaggi di un ben più modesto 25%.
Ma la sinistra nervosetta non comprende neppure come un 15/17% di italiani possa appassionarsi agli show di Salvini. E i due, insieme, diventano un bel caso di studio, se qualcuno avesse voglia di studiare. Invece la gauche culturelle orfana del caviar ma non dello champagne, preferisce risolvere tutto con gli immancabili slogan. Da quello di Eco sul fascismo eterno sino all’ancora più modesto Augias con il fascismo come “stato d’animo”. In realtà la definizione di Augias è meno banale di quanto sembri. Più subdola. Perché, ormai, solo i Berizzi e le Murgia di turno possono fingere di credere ad una “Meloni fascista”. Ridicolo. Ed offensivo per chi si sente comunque fascista.
Se, però, si adotta la definizione del compagno Augias, tutto ciò che fa comodo può rientrare nella categoria di fascista. Persino Meloni che distrugge un ritratto del Duce. Una categoria utile per ogni evenienza, a seconda della convenienza. Giocando anche sulla totale mancanza di capacità comunicativa delle destre che andranno a governare.
Alessandro Gnocchi, in un divertente intervento sul tema, cita giustamente Lucio Battisti: capire tu non puoi. Tu chiamalo se vuoi, fascismo”. Un’emozione, non si sa se da poco. Ma questa emozione degli elettori caccerà dal governo una sinistra che suscita solo repulsione. Bisognerebbe chiedersi perché, bisognerebbe chiedersi se la gauche con il cachemerino non ha rotto ovaie e zebedei a tutti. Se i loro professorini altezzosi, i loro salotti spocchiosi, i loro influencer inutili non hanno finito una parabola che non doveva manco iniziare.
Il 25 settembre arriverà il momento delle grandi emozioni. Ciascuno le vivrà in modo diverso. Il trionfo degli eletti, le illusioni degli elettori, la delusione di Letta, la rabbia di Zan, l’indifferenza del cane della Cirinnà. Con il rischio che “Gli anni del consenso” si trasformino in “Gli anni del consenso perso” o, peggio ancora, “I mesi del consenso”.