“Sono favorevole che il fischio di apprezzamento nei confronti di una donna diventi un reato perseguibile, così come altro apprezzamento maschilista”, con queste quasi testuali parole Carmelo Abbate ha tentato l’affondo seduttivo di una platea pressoché femminile, mancando però clamorosamente l’obiettivo.
Un intervento demagogico che parte dal titolo di un suo libro, Gli uomini sono bastardi, per finire con la considerazione di un’inferiorità maschile per un intrinseco handicap dell’uomo nell’affrontare le diverse difficoltà quotidiana, a differenza della evidente superiorità femminile nel sostenere i suoi diversi ruoli sociali.
È stata la sua ennesima e patetica esibizione radical-buonista, un allineamento acritico al pensiero fondamentalista della ripulitura linguistica.
Per quanto riguarda poi l’aspetto criminale e l’applicazione della pena all’autore di violenza, Abbate ha dichiarato la sua contrarietà all’ergastolo e anche al lavoro coatto dei detenuti, per non parlare poi della pena di morte da me molto provocatoriamente sostenuta.
Tutti buoni da rieducare, come se il male fosse solo un’ombra passeggera che può avvolgere momentaneamente chiunque di noi, e non un aspetto presente in maniera permanente e pervasiva in alcune menti psicopatiche e antisociali.
Tutti da reinserire nell’ambiente sociale, come avvertimento generale della serie “è uno di noi”, e non un soggetto pericoloso che, autonomamente, ha deciso di recidere ogni contatto con il consorzio umano di appartenenza.
Mentre l’avvocato Elisabetta Aldrovandi, da tecnico della legge, ha esposto in concretezza il suo impegno professionale e le ipotesi riabilitative in ambito giudiziario, Abbate ha mantenuto il classico atteggiamento di molti colleghi giornalisti: il rifiuto della realtà attraverso l’apologia e la retorica di ciò che si vorrebbe che sia.
Ha parlato di civiltà, rispetto al mio giudizio vendicativo e forcaiolo, ma gli è andata male: se civiltà è lasciare liberi gli stupratori, mandare ai domiciliari i pedofili e scarcerare gli assassini dei bambini sciolti negli acidi, rivendico la mia barbarie perché il suo concetto di comprensione mi fa orrore.
Ho un criterio molto semplice per risolvere questa spiacevole diatriba – metodo che ho qualche volta sperimentato con successo: una firma di responsabilità.
Questa dovrebbe valere per giudici, psichiatri, assistenti sociali, educatori e tutte le figure professionali che decidono per la libertà di un criminale, o per i giornalisti che la reclamano. L’assunzione di responsabilità per i comportamenti che questo potrebbe mantenere e le conseguenze degli stessi.
Ci sarebbero meno delinquenti e psicopatici a spasso, e meno rompicoglioni dal buon cuore un tanto al chilo che sproloquiano sulla bontà intrinseca dell’uomo.
In alternativa, la dimostrazione pratica delle loro buone intenzioni: ad esempio, l’ingaggio di un pedofilo come baby-sitter per i propri figli, o di uno stupratore come domestico a tempo pieno.
In poco tempo i boia supererebbero per numero le liste di assunzione rispetto a quelle dei pedagoghi.