Tanto va la gatta al lardo…. Vecchio detto che, oggi, sembra quasi incomprensibile ai più. In primo luogo perché siamo in ben pochi ad apprezzare ancora il lardo. Che, diciamolo chiaro, è una delizia che si scioglie in bocca. E non solo le varietà pregiate come quello di Colonnata o, il meno noto, ma ancor più succulento, di Anard. Il lardo in genere è una meraviglia. Tanto che ti lascio tutti i prosciutti magri e senza grasso tanto richiesti… come se un maiale magro fosse cosa normale. Ma oggi, il salutismo imperante ha condannato il lardo, insieme al guanciale, allo strutto ed altro… Poi, questi se ne vanno ad ingozzarsi di schifezze da Mc tutti contenti, e si fanno ınoculare porcherie felici e beoti. Ma il lardo no. Il lardo fa male. Lo dice… La Scienza. La stessa per la quale l’ossido di grafene è una mano santa…
E poi ai gatti non si dà più il lardo. Li si cresce a croccantini e cibi appositi. Testati da veterinari. Prodotti da industrie. Dentro ai quali non si sa cosa ci sia. Ma certo danno assuefazione. E questi gatti domestici non riescono più a mangiare altro…
Vivono più a lungo, mi dirà qualcuno… Già, anche voi pensate di vivere più a lungo coprendovi con mascherina e scafandri da palombaro, assumendo medicine in continuazione – mai sentito parlare di dipendenza? Mica riguarda solo le droghe illegali… anzi – evitando i pericolosi contatti umani etc…. Bella vita di m.! direbbe mio figlio, il cui linguaggio, lo ammetto, non è molto oxbridge… ma, altrettanto certamente, icastico.
Dunque, mio figlio… E veniamo così al dunque. Ovvero al tema di questo articoletto.
Ha appena compiuto 14 anni. Età bastarda come poche. Infantile che gioca con le cose da bimbi, e subito dopo adolescente ombroso capace di fischiare per strada ad una ragazza ventenne in shorts. Alla faccia del cat calling, o come diavolo si chiama. Comunque, qualche giorno prima, gli chiedo: che vuoi di regalo? Mi aspettavo un tablet, uno smartphone nuovo, un video games. E invece…
“Io voglio un gatto!”
Come un gatto? Ne abbiamo già due…
Scuote la testa, imbronciato.
“No. Birbo e Kira sono tuoi. C’erano già. Io voglio un gatto che sia solo mio. E lo voglio rosso!”
E così è arrivato Simba. Come, e con quali traversie, ve li risparmio. Sarebbe troppo lungo. Ma grazie a due gentili gattofile – Roberta e Valeria – il piccolo Simba, tre mesi, è arrivato proprio il giorno del compleanno. Un rosso maculato, non tigrato. Con una coda lunghissima, che ricorda un poco la razza abissina. Anche perché lungo e snello. Qualche antenato di passaggio, probabilmente.
In verità, quando è arrivato, si chiamava Artù. Nome che mi piaceva… molto. Ma mio figlio ha detto che il gatto è suo. E quindi lo ha ribattezzato Simba. Sembra che gli piaccia: in meno di un giorno risponde tranquillamente al richiamo. E arriva zompettando tutto felice…
Ora, tutti mi hanno, ovviamente, raccomandato di vigilare sulla sua alimentazione. Tre mesi sono tre mesi. Ed esistono, manco a dirlo, cibi speciali. Croccantini e quant’altro.
Più facile a dirsi che a farsi. Di gatti ne abbiamo tre. E vai tu ad impedire a Simba di fiondarsi sulla ciotola degli altri…
Fino a qui tutto prevedibile. Normale , direi.
Solo che stasera stavo preparando gli spaghetti. Burro, pomodoro, parmigiano. Mi giro, e mi ritrovo Simba sulla tavola che si sta sbafando tutto il formaggio grattugiato nell’apposita ciotola. Di gran gusto.
Beh, mi ha fatto pensare. E ricordare. Il Nero. Il grosso gatto della mia bisnonna. Nero ovviamente di pelo. Mica ci si sprecava tanto allora con i nomi. Neppure per i cristiani; figurarsi per gli animali…
Viveva in campagna la bisnonna. E il Nero se ne andava in giro libero per i campi. D’inverno dormiva in casa. Nella bella stagione in cortile. O dove capitava. A meno che non fosse il periodo degli amori. Allora era capace di sparire anche per una settimana. E poi tornava, magro, sfinito e, spesso, pieno di ferite… Ma con l’aria assai contenta. Nessuno si era mai sognato di sterilizzarlo, naturalmente. Non si usava, allora.
Ma è sbagliato. Dirà qualcuno. Si espone il gatto a rischi. A pericoli.
Vero. Però se ci penso… mettiamola così… se mi avessero castrato avrei certo fatto molti meno errori anch’io nella mia vita. Ma non credo che ne sarei contento…
E poi, dai con la solita obiezione: così gli si garantisce una esistenza più lunga e tranquilla… beh, la garantirebbe forse anche a voi, no? Comunque, state… sereni. Ci penserà quel filantropo malthusiano di Bill Gates.
All’ora di pranzo, la bisnonna apriva la finestra della cucina. E il Nero balzava dentro come una pantera. Mangiava tutto. Di gusto. Pasta al sugo. Pane nel brodo. Minestra di verdure. Patate… Gli avanzi. A Natale anche i ravioli e la carcassa del cappone. Altro che croccantini…
Ricordo… E mi viene da pensare come, in nome del prolungamento a tutti e costi della loro esistenza, noi si sia snaturata la vita dei gatti. Come di altri animali, per altro. E lo si è fatto non per il loro bene. Per il nostro egoismo. Perché li vogliamo trattenere con noi il più a lungo possibile… Amore? No, non credo. Piuttosto, proiettiamo su di loro quella paura, astratta, della morte che è solo nostra. Di noi uomini, intendo.
E per farli sopravvivere più a lungo, facciamo loro cose terribili. Li snaturiamo. Li costringiamo a inaccettabili rinunce e sofferenze… Quasi una prova generale di ciò che, ormai, stiamo facendo a noi stessi….
Intanto, mentre buttavo giù queste noterelle, il piccolo Simba ha finito il parmigiano. E si è avventato sulla zuppiera di spaghetti avanzati. Sorrido. Mi vengono in mente i romanzi di Koko e Yum Yum. Koko, il geniale gatto detective inventato da Lilian Jackson Brown. Ce n’è uno che, se non ricordo male, si intitola “Il gatto che mangiava il formaggio”….