Antoine Quentin Fouquier de Tinville, rappresentò la pubblica accusa presso il tribunale rivoluzionario di Parigi durante il regime del terrore.
Alessandro Zan è un parlamentare del Partito Democratico relatore del disegno di legge contro l’omofobia, la transfobia, la misoginia e l’abilismo, che modifica l’articolo 3 della legge Mancino.
Cos’hanno in comune questi due personaggi distanti per stile e per tempo storico?
Sono ideologicamente uniti da una proposizione attribuita al grande accusatore giacobino: “Datemi una qualunque frase di un galantuomo e vi troverò elementi sufficienti per mandarlo al patibolo”.
Entrambi hanno impostato e impostano la propria visione del mondo all’interno di paradigmi paranoici nell’esaminare la realtà; entrambi la negano cercando di colpire coloro i quali pretendono di dimostrarla; entrambi si arrogano il diritto di tacitare ogni possibile dissenso, scovando cattive intenzioni o fini malvagi in diversi interlocutori.
Con la volontà discriminatoria e la propensione alla stigmatizzazione verso chi non intende adeguarsi all’andazzo relativista del pensiero debole e omologato, entrambi perseguono l’obiettivo di far fuori ogni opposizione culturale per imporre un disegno unico di ingegneria sociale.
C’è, da un lato, una tattica ipnotica che fa leva sul piagnisteo e sulla vittimistica lamentosità; dall’altro, una vera e propria falsificazione della realtà. Denuncia bene questa strategia Douglas Murray nel suo splendido saggio La pazzia delle folle: “Abbiamo cominciato a cercare di riordinare la società non in ragione dei fatti derivanti dalla scienza, ma sulla base delle falsità politiche imposte dagli attivisti delle scienze sociali. […] Perché i fatti sono costantemente lì, davanti ai nostri occhi. Solo che non è previsto che li notiamo o, se lo facciamo, ci si aspetta che ce ne restiamo zitti” (p. 102).
Ecco quello che vogliono: il silenzio. Pretendono un’accettazione passiva del loro andazzo retorico-giuridico. Esigono – per legge – che non si possano attivare confronti tecnici o dibattiti filosofici, consapevoli della povertà concettuale delle loro allucinazioni progressiste. E lo sanno. Sanno benissimo che il loro successo deriva dal potere economico delle lobby di appartenenza e non dalla loro millantata dottrina, dimostrando fondata e condivisa la denuncia di Murray di come “certe persone adottino in maniera intenzionale e pigra rappresentazioni fuorviate e semplificate di quel che gli altri stanno dicendo, in modo da evitare la discussione che si dovrebbe altrimenti intavolare, e che si preannuncia difficile”.
Quindi, in alto le forche mediatiche e la criminalizzazione della dialettica.
A proposito. Per finire con ottimismo. Antoine Quentin Fouquier de Tinville, dopo aver firmato un migliaio di condanne a morte più o meno elevate, il 18 Fiorile (7 maggio) del 1795 fu ghigliottinato e il corpo buttato in una fossa comune nel vecchio Cimitero degli Errancis.
Della serie: la speranza è l’ultima a morire.