C’è un film di Vittorio De Sica di cui non si parla mai. Ad ogni cineforum, da ogni pulpito di cinefili accademici e non, ci massacrano (non dico cosa, per rispetto alle signore eventuali lettrici) con il neorealismo. Il noiosissimo “Umberto D.”. Il melenso “Ladri di biciclette”. Il ritratto di una italietta vinta e miserabile, che piaceva tanto a certa intellighenzia. E che a me risulta, da sempre, insopportabile.
Però altri film di De Sica mi sono piaciuti. Questo in particolare. Che fece abbastanza botteghino. Ma che fu trattato male dalla critica. Nonostante la sceneggiatura fosse del Cesare Zavattini. Che come scrittore non mi ha mai convinto. Ma come sceneggiatore…beh altra storia.
Il film fu definito frammentario. E in effetti non vi era un vero protagonista. Anche se ha un cast da paura. Gassman, Manfredi, Sordi, il grande Paolo Stoppa. Fernandel. Silvana Mangano, Anouk Aineè, Melina Mekuri. Andreina Pagnani. Lino Ventura, Ernst Bosgnine. Il muso duro di Jack Palance. E ancora Renato Rascel. Domenico Modugno. E persino Mike Buongiorno, che interpretava…se stesso. E poi Franchi e Ingrassia. De Vito. E chissà quanti me ne dimentico. Un insieme di cammei. Che ruotavano intorno ad una voce tonante. L’annuncio del prossimo Giudizio Universale. Alle ore 18. E la voce era davvero impressionante. Quella di Rossi Lemene, forse il più grande basso di tutti i tempi.
Non voglio raccontare il film. Solo che De Sica faceva emergere, sullo sfondo della sua Napoli, un campionario di varia umanità, con le sue meschinità, tradimenti, egoismi. Tutti messi improvvisamente in piazza dal Giudizio Universale. Ovvero da una paura più grande di tutte le altre paure. Finzioni ed ipocrisie.
L’idea mi affascina. Una Valle di Armageddon dove tutti, proprio tutti, sono costretti a rivelare ciò che davvero sono. Agli altri. E, soprattutto, a se stessi.
Ed è così che Giovanni Papini concepì il suo, originalissimo, “Il Giudizio Universale”. Uno dei massimi capolavori della letteratura italiana del ‘900.
Cosa di cui, però, ci si è accorti in ben pochi. Già Papini ha un posto molto limitato nelle nostre storie letterarie ufficiali. Più che altro citato come animatore di riviste del primo ‘900. E se qualcuno si occupa della sua produzione, ben di rado va oltre “Un uomo finito”. Che è un gran bel libro. Ma Papini è anche altro. Molto altro…
Solo che è uno di quelli che danno, ancora, fastidio. Avanguardista e futurista. Nazionalista. Fascista. Poi, cattolico. Ma un cattolico non da sacrestia. Problematico. Tormentato. Agonico. Di quelli che piacevano, per intenderci, a Miguel de Unamuno. E che ben poca cittadinanza potrebbero trovar, oggi, nella Chiesa del Bergoglio.
Comunque, io scoprii per caso questo Giudizio Universale di Papini. Rovistando su una bancarella di libri vecchi e usati. Una bella edizione, per altro. In cofanetto, della vecchia Vallecchi. Che i libri sapeva come andavano fatti…
È un’opera possente. Mista di prosa e poesia. I Cori angelici che intervallano gli atti del Giudizio. Dove di fronte all’Angelo, devono comparire tutti. E confessare i loro peccati. Come i dannati davanti a Minosse, nella Commedia. Che è, ovviamente, il massimo riferimento di Papini. Insieme agli affreschi della Sistina. Dante e Michelangelo. Come lui fiorentini. E come lui di carattere spigoloso, fazioso, scorbutico. Cantori della forza.
Papini immagina, ma sarebbe forse più giusto dire evoca, una turba di figure e figuri che corrono al Giudizio. Grandi della storia, e uomini comuni. Così vediamo Napoleone, Cesare, e, accanto, un anonimo cacciatore selvaggio della preistoria. Perché, ormai, il tempo è stato azzerato. E i ruoli sociali, la fama, non contano più nulla. È solo l’anima che viene pesata sulla bilancia. Nuda, con i suoi peccati. Ma anche con le sue virtù. E, soprattutto, le sue umane (troppo umane) debolezze.
Gli uomini si giustificano. Si accusano a vicenda. Talvolta difendono il loro, antico, nemico. Come Luigi XVI, che interviene a favore di Robespierre…
E vi è anche chi tratta la prospettiva della dannazione eterna con disprezzo. Himmler. Che si rivolge all’Angelo dicendo: il vostro Dio è onnisciente. E quindi sapeva bene ciò che avrei fatto. Poteva impedirmelo se lo voleva…
Uno sprezzo che va oltre l’arroganza. Ricorda il Capaneo di Dante. Inchiodato al suolo, sulla sabbia rovente sotto la pioggia di fuoco… Eppure continua a sfidare l’ira di Giove…
Ora, immagino, che il Direttore mi chiederà: ma che? Sei in vena apocalittica oggi? Che meni sfiga?
Beh, ad essere sincero, una certa fascinazione per l’apocalisse sto cominciando a provarla… E poi, sapete, l’idea che vi possa essere un giudizio, un Giudice, e che finalmente tutti confessino le loro colpe senza ipocrisie…senza finzioni e menzogne…mi solletica.
So che è solo una fantasia, una Morgana estiva. Siamo ben lontani dalla Apocalisse. E la Scienza ci dice che, quando avverrà, sarà un po’ come per i dinosauri. Una, più o meno rapida, estinzione. E finita lì. Al massimo un po’ di fossili sparsi qua e là…
Niente angeli con la tromba in bocca, e voci che tuonano “sotto a chi tocca” come nel poema a sonetti del Belli.
Niente inferno o paradiso. Niente limbo o purgatorio. Buoni e cattivi tutti insieme. Tutti uguali. Lo stesso destino. Tanto che, se le cose stanno davvero così, a che pro uno dovrebbe comportarsi bene essere buono, onesto, rispettare leggi e regole?
Per senso civico, dite? “Ma mi faccia il piacere!” direbbe, a ragione, il principe De Curtis…
Oppure chissà… Hanno ragione Dante, Papini, Michelangelo… E, allora, forse, quel giorno ad Armageddon, ci sarà da divertirsi… Forse…