Il Fatto Quotidiano si indigna perché la manovra varata da Sua Divinità Mario Draghi regala, di fatto, a Confindustria la manodopera da sfruttare. È vero, ma solo in parte. Innanzitutto perché il gentile omaggio non è riservato solo a Confindustria ma si estende a tutto il padronato, in ogni settore. In secondo luogo perché la porcata è possibile grazie alla politica immigrazionista sostenuta, sempre, dal Fatto e da tutti i giornali progressisti e politicamente corretti. Il famigerato esercito industriale di riserva già descritto da Marx ma tanto amato dalla gauche caviar che ama così tanto gli schiavi da volerne sempre di più.
D’altronde anche i pentapoltronati, a fronte delle modifiche apportate al reddito di cittadinanza, hanno sostenuto che il lavoro deve essere accettato comunque, così com’è. Ed è qui l’errore. È vero che non si può tollerare che i renitenti alla vanga restino a trastullarsi sul divano in attesa dell’assegno mensile gentilmente offerto dalle tasse di chi lavora. Ed è altrettanto vero che non devono fare gli schizzinosi sul tipo di lavoro: il lavoro perfetto non esiste. Però, sul fronte opposto, dovrebbero esserci regole per impedire lo sfruttamento. Regole da far rispettare colpendo duramente chi le ignora.
E non è un problema di lavoro nero, perché in tal caso il giovane incassa il poco denaro pattuito e continua a percepire il reddito di cittadinanza. Lo sfruttamento riguarda le offerte comparse negli scorsi mesi, con poche centinaia di euro mensili in cambio di sei giorni e mezzo di lavoro settimanali. O di stipendi solo leggermente più alti in cambio di doppio servizio quotidiano in un ristorante.
Non si rifiuta il tipo di lavoro, ma il livello di retribuzione. Su questo, però, il governo e l’opposizione evitano di intervenire. La lotta contro l’introduzione del salario minimo ha unito destra e sinistra da perfetti maggiordomi di Confindustria e del suo presidente Bonomi.
Ovviamente, con il ricatto del reddito di cittadinanza, si può obbligare un ragazzo ad accettare un lavoro. Ma non a svolgerlo nel migliore dei modi. Non a garantire qualità e, tantomeno, una professionalità che non ha. Si accetta l’occupazione, ci si fa licenziare e si torna sul divano ad aspettare il reddito di cittadinanza. Un circolo perverso.
Ma è altrettanto perversa la mentalità di chi offre queste occupazioni con salario da schiavi. Perché ad ogni riunione delle associazioni datoriali si sprecano le affermazioni sulla qualità, sulla professionalità, sulla competenza, sulla formazione delle risorse umane, sul ruolo fondamentale dei collaboratori. Poi, nella pratica, i ristoranti che dovrebbero rappresentare il biglietto da visita del turismo italiano assumono giovani impreparati ma disposti a farsi sfruttare per qualche tempo. Il ristoratore risparmia, il servizio peggiora, la clientela si riduce. E si rovina anche l’immagine dei ristoratori seri, che cercano qualità professionale e la pagano correttamente. Ma vale in ogni settore.
L’imprenditoria italiana insiste a cercare la competitività senza professionalità. Ed i giovani più preparati rifiutano lo sfruttamento e se ne vanno a rafforzare la competitività di altri Paesi. Mentre Confindustria si stupisce di non riuscire a trovare manodopera qualificata. Quella che invece trovano tedeschi, francesi, svizzeri, ma anche americani e cinesi. Manodopera italiana e qualificata: che strano..