Pietro Calamandrei, uno dei padri della Costituzione, ebbe a dire: «Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola, a lungo andare, è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte Costituzionale».
Un concetto che è stato completamente dimenticato, per non dire rimosso, non solo dal ministro Azzolina, pessimo esempio di incapacità politica e gestionale della scuola italiana, ma dallo stesso governo.
Basti pensare che nel documento “di rinascita” presentato da Conte a Villa Pamphilj, composto da 9 capitoli, 55 voci e 102 proposte, soltanto sei affrontano il tema istruzione, uno solo dei quali è dedicato al diritto allo studio. Ciò significa che non solo la titolare del dicastero del MIUR, ma l’intero governo considera la scuola un fatto marginale e secondario.
Ciò è dimostrato dal fatto che, mentre i media di servizio propinano servizi sulla farsa a cui si è ridotto l’esame di stato, nessuna indicazione precisa è stata ancora data sulle modalità di riapertura degli istituti scolastici a settembre. Affermazioni contraddittorie e fumose si accavallano a ipotesi fantasiose e improbabili, mentre le disposizioni adottate dal governo, prima fra tutte la didattica a distanza, si sono dimostrate un completo fallimento. In base ai dati Istat, solo un alunno su due ha potuto approfittarne, aggravando una povertà educativa che, sempre secondo l’Istituto di Statistica, ha superato i due milioni di minori, un quarto del totale.
Come ha ricordato Carlo Verdelli sul Corriere della Sera, “Altrove hanno avuto chiaro da subito qual era la priorità sociale. In Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca, ma persino in Paesi più fragili come Grecia e Portogallo, chi dalle materne e chi anche solo per concludere i cicli, hanno tentato di cucire la ferita aperta dalla pandemia mettendo per i primi i bambini. Noi stiamo facendo il contrario, e non da oggi”.
Serve ancora ricordare come l’Italia sia agli ultimi posti tra i paesi OCSE per quanto riguarda organizzazione scolastica e preparazione degli studenti? L’Italia investe sulla scuola meno del 7% della spesa pubblica, la metà degli Stati Uniti e un terzo di quanto spende il Cile; abbiamo il più basso tasso di laureati d’Europa dopo la Romania e il più alto indice di abbandono (un milione di ragazzi negli ultimi dieci anni); uno su cinque, fra i ragazzi dai 16 ai 29 anni, riesce a malapena a decodificare un testo scritto.
Sarebbe interessante conoscere l’opinione dell’ex ministro pentastellato Fioramonti che nello scorso dicembre, ben prima che scoppiasse la pandemia con tutto ciò che ne è conseguito, aveva dato le dimissioni dal Ministero di viale Trastevere in quanto, analizzata la situazione, aveva chiesto un investimento sulla scuola di tre miliardi che gli furono negati.
Ora, malgrado la pioggia di soldi stanziati dal governo e che chissà come, quando e da chi saranno ripianati, la previsione di spesa nel settore è inferiore alla metà di quella cifra, e una buona fetta è destinata all’edilizia scolastica.
Come al solito si finirà con lo scaricare tutto sulle spalle di dirigenti e insegnanti che saranno ancora una volta costretti a inventarsi qualcosa nella totale mancanza di direttive politiche precise.
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