Appena qualche giorno fa parlavamo di come il premier Conte tenga saldamente in mano le leve del potere in Italia grazie allo stretto controllo sui servizi segreti.
In merito, sabato 22 agosto, su La Stampa è uscito un sorprendente articolo a firma di Francesco Grignetti, che dimostra con un esempio inquietante quanto dicevamo allora.
La signora Giuliana Cavazza, figlia di una delle vittime della strage di Ustica, aveva chiesto di avere accesso ai documenti del SISMI redatti dal colonnello Stefano Giovannone, capocentro dei servizi segreti italiani, operante in Libano dal 1973 al 1982, cioè a cavallo delle stragi del 1980 sia di Ustica che alla stazione di Bologna del 2 agosto. Sono in molti a pensare che in quelle relazioni sia nascosta la verità su quei tragici fatti. Una verità talmente scomoda che già nel 1984 l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi impedì ai magistrati che indagavano su entrambe le stragi di visionarne il contenuto. “Da quel momento – scrive Grignetti – sulle informazioni di Giovannone si è stesa una coltre impenetrabile che è durata fino al 2014”.
Da quel momento quei documenti sono stati classificati come “segretissimi”, allo scopo di evitare che fossero resi pubblici, secondo quanto prescrive la legge, allo scadere dei trent’anni.
Qualche giorno fa la signora Cavazza si è sentita rispondere da “Palazzo Chigi” che i contenuti di quei documenti non potevano essere desecretati in quanto sarebbe rischioso “per la sicurezza nazionale”. Se ne riparlerà nel 2029!
Quel che si sa, e che viene scrupolosamente riportato dal giornalista de La Stampa, è che il segreto riguarda i rapporti occulti dello Stato italiano e i palestinesi, e in particolare il Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) di George Habbash. Secondo quanto affermato e ampiamente documentato almeno in un paio di libri usciti recentemente a firma di Gabriele Marconi (2 Agosto 1980 – Un’orazione civile, edito da Eclettica) e di Valerio Cutonilli (La Strage di Bologna tra ricostruzione giudiziaria e verità storica, V edizioni), almeno una delle due stragi – quella di Bologna – potrebbe rientrare nella rottura del cosiddetto Lodo Moro, in base al quale l’Italia avrebbe consentito la libera circolazione ai terroristi palestinesi sul suolo nazionale a patto che questi ultimi non mettessero in atto azioni terroristiche in territorio italiano. La rottura ci fu quando l’Italia si rifiutò di restituire ai palestinesi alcuni missili terra-aria di fabbricazione sovietica che erano stati intercettati e sequestrati da due zelanti poliziotti allo scuro di quanto si tramava in alto loco. Da quel momento le cose precipitarono e subito dopo ci furono le stragi.
Quarant’anni sono trascorsi dai fatti. Ma ancora oggi chi siede a palazzo Chigi ritiene che rendere pubblica la verità su quei fatti terribili sia pericoloso per la sicurezza nazionale.
E la domanda ci viene spontanea: “pericoloso per la sicurezza nazionale” o per chi quella verità la conosce e non vuole renderla di pubblico dominio perché dovrebbe giustificare la montagna di menzogne che sono state costruite in quarant’anni su quei tragici avvenimenti?