Bakhtin individua nel “grottesco” una “figura di interscambio biologico e sociale”
E, a questo punto, potrei chiudere l’articolo. Perché è già stato detto tutto, no?
Che volete farci…Bakhtin era una mente acuta. Un pensatore profondo. Ma era russo. E fortemente legato a Formalismo e Strutturalismo. E quelli scrivevano così… Ricordo che all’esame di Estetica, con il, grande, Gillo Dorfles, dovetti portare “La funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali” del Mukarovsky. Altro grande dello Strutturalismo. Anzi, il padre. Beh… sinceramente a metà non capivo se parlasse di Raffaello, della cucina del ‘700, della musica di Bach o di Mary Quant e della minigonna….
Dorfles, dopo un po’ mi chiese:
“Le interessa questa Opera?”
“Sinceramente…ben poco professore..” momento di silenzio.
“Che indirizzo di studi segue?”
“Lettere Antiche, indirizzo storico ” un sospiro…
“Ho capito… accetta il 28 e se ne va, o continuiamo a darci fastidio a vicenda?”
Naturalmente, accettai.
Comunque, se proviamo ad andare oltre allo scoglio del linguaggio, Bakhtin sta dicendo una cosa molto interessante. Il grottesco è generato da una immagine fisica, del corpo del personaggio, a teatro o in narrativa, che, con la sua deformità, rivela la deformità della società contemporanea. E non a caso il pensatore russo stava parlando di Rabelais. Che di tale uso del grottesco resta maestro indiscusso. Il suo Gargantua infatti è una paradossale, colossale farsa di figure mostruose e deformi. Che mettono in luce, e alla berlina, i mali della società francese, e soprattutto parigina, di fine cinquecento.
Per altro, lo stesso procedimento, lo possiamo riscontrare quasi un secolo prima nel Morgante di quel geniaccio irregolare che fu il nostro Luigi Pulci. In una società aristocratica rinascimentale, che vagheggiava un ideale cavalleresco ben astratto dalla realtà – anche perché i Medici dovevano la Signoria di Firenze al denaro, e non certo al valore nelle armi – lui fa irrompere il suo Morgante. Che avrebbe dovuto essere solo figura di contorno, in un poema dedicato a Orlando. Il Cavaliere perfetto. Ma Morgante, il gigante vigliaccone, vanaglorioso, ladro e abbuffone, gli ruba la scena. E fa del poema cosa sua. Una fantasmagoria grottesca. Che, nel finale, vede il gigante morire a causa di un granchiolino. Eco, parodistico, del granchio che attacca Eracle alle spalle durante la lotta con l’Hydra di Lerna…
Insomma, il grottesco genera talvolta riso. Ma non trasmette allegria. Anzi… è strumento di satira. Violenta e acre. Addirittura corrosiva. Perché, ricapitolando, attraverso la deformità e la sproporzione fisica, tende a mettere in luce la stortura sociale.
È, in fondo, arte dell’orrore. Un orrore che ci fa, forse, ridere. Ma che resta, comunque, pur sempre orrore.
Nella letteratura italiana più recente, ne hanno dato esempio i cosiddetti Scapigliati. I figli, ribelli, della buona borghesia milanese e torinese, che, delusi dai sogni risorgimentali si misero a fare…beh, mi spiace per le Signore, ma l’espressione giusta è “casino”. Buttando per aria un po’ tutto quello che era dato per certo. Sicuro ed acquisito. “Re Orso” di Arrigo Boito, “Le novelle immorali” di suo fratello Camillo, la “Fosca” del Tarchetti, soorattutto. Dove il giovane, brillante e affascinante, ufficiale, che si innamora di Fosca, di una bruttezza disgustosa e malata, ci dice più di qualcosa su una società che correva verso forme sempre più evidenti di nichilismo. Preda di una, grottesca, bramosia di autodistruzione. Un grottesco tardo romantico. Ormai incapace di suscitare riso. Anche perché non era questo che interessava a quei giovani antenati dei beatnik.
Tant’è che se volessimo fare un balzo temporale e spaziale, è proprio nella Beat Generation che ritroviamo tale uso del grottesco.
Senza fare tante chiacchiere, andate a leggere “La caduta dell’America” di Ginsberg….e magari qualcosa di Ferlinghetti e Corso.
Ora, però, mi si pone un problema. Che senso avrebbe, oggi, l’uso del grottesco in letteratura come a teatro o nel cinema?
Perché, vedete, la, cosiddetta, realtà è oggi giunta di per se stessa ad essere grottesca. Paradossale. E questo rende praticamente impossibile utilizzare quello che Bakhtin chiama “il tropo del grottesco”.
Leggo, ad esempio, che alla selezione di Miss America in Pennsylvania, è stata incoronata reginetta un… uomo.
Si va bene, dovrei dire transgender, e non essere omofobo…. però il fatto è che la reginetta in questione è un omaccione decisamente grasso e brutto…che aveva come unici meriti l’essere Trans e…di colore scuro (come vedete mi sono evoluto…non scrivo più negro…).
Ora, scusatemi però. Lasciamo stare il sesso, anche se una Miss dovrebbe essere tale per Natura, e non solo decidere di esserlo, perché lo desidera e si sente tale. Altrimenti domani pretendo di iscrivere il mio gatto Simba al gran premio di Ascot. Perché per me è un puledro…
Ma lasciamo pur stare questo…
Un concorso di bellezza, però, dovrebbe premiare la Bellezza. E se invece vince uno, o una o unə che sembra un gorilla di montagna, e non dei più vezzosi…e vince battendo dei pezzi di figliole da infarto coronarico…e vince solo perché, ad un concorso di bellezza femminile, non è né femmina, né bella…e vince perché altrimenti sarebbe stata discriminazione…vi accorgete o no che c’è qualcosa che non funziona?
E che il nostro mondo occidentale non ha più bisogno del grottesco. Perché è ormai divenuto una realtà sempre più totalmente grottesca.
Impossibile fare satira. Impossibile usare il paradosso. È il nostro vivere già un paradosso grottesco. È il nostro modo di (non) pensare che già incarna ogni forma di ridicolo e di assurdo. Non serve più uno Jonesco. Né un Beckett. L’assurdo è già qui. L’assurdo, il grottesco… siamo noi.