Nella mia vita, sono sempre stato, essenzialmente, un lettore. Leggere, per me, era, e resta, essenziale. Come respirare, oserei dire. Ed ho letto…un po’. Non abbastanza. Perché non si legge mai abbastanza. Nessuno vi è mai riuscito, credo. Neppure Borges. Neppure il Venerabile Beda.
Ma, in fondo, non ha importanza quanti libri si legge. Perché vi è sempre, comunque, un libro che diviene più importante di tutti. Che diviene il tuo Libro. O, se vogliamo, il Libro della tua vita.
L’ho incontrato abbastanza presto, questo Libro. Se non ricordo male (molti anni e molta acqua sono passati sotto i ponti) ero in Quinta Elementare. La maestra, la Signora Giulia – napoletana e monarchica, ho già parlato di lei – mi mise davanti una edizione della Commedia illustrata. E spiegata ai bambini. Allora si faceva così. I bambini venivano considerati per quello che erano. Ovvero degli uomini, e donne, in nuce. Venivano trattati da bambini. Ma si cercava di prepararli al futuro. E quindi… Leggi Dante, mi disse.
Per inciso, oggi si fa l’esatto contrario. Si vorrebbe permettere ad un bambino di cambiare sesso. Rispetto della sua libertà, la chiamano. Ma, al contempo, gli si dà da leggere delle favolette sceme. Come se fosse un ritardato mentale. I risultati di tale pedagogia, giudicateli voi…
Leggi Dante, mi disse. Senza aggiungere altro. E io lo lessi. Da allora, quello è diventato, per me, il Libro.
Da allora non ricordo quante volte ho letto, e riletto, la Commedia. E la Vita Nova. Che non è un altro libro, come in genere si crede. Ma la premessa, l’introduzione al capolavoro. Essa stessa un capolavoro. Semplificando: il primo capitolo. Senza del quale sarebbe impossibile capire perché questo Dante è andato in pellegrinaggio a Gerusalemme. E, soprattutto, perché poi è sceso nelle profondità dell’Inferno, e si è inerpicato per le scoscese cornici del Purgatorio.
Il senso di tutto sta lì. Nella Vita Nova. Nell’incontro con Beatrice.
Certo, per me è stata anche ragione di lavoro. Ma non crediate che tutti gli insegnanti leggano, e soprattutto amino, Dante. E non parlo di quelli di tecnica o educazione fisica. Ma di quelli di Lettere. I più fanno sempre in classe la solita manciata di canti. Parafrasi e commento. Preso dal testo in adozione. È routine. O, se preferite, una rottura. Punto.
Invece per me ogni rilettura era come se fosse la prima. E pensare che da ragazzo leggevo un canto ogni sera. Prima di dormire. Arrivato al 33° del Paradiso, ricominciavo dal 1°dell’Inferno. Avanti così, per anni.
Intendiamoci, mica che ci capissi un granché. Che fossi capace di interpretare le allegorie, i simboli…di collegare teologi e filosofi che avevano influenzato il Poeta. Non cercavo neppure di abbozzare una qualche esegesi del testo. Lo leggevo, e mi facevo prendere dal racconto. Perché è un racconto. La più grande narrazione mai scritta. Un Grande Fiume di parole. E di immagini. E quelle immagini diventavano vive davanti a me. Anzi, intorno a me. Perché mi avvolgevano. E coinvolgevano.
L’incontro con Farinata degli Uberti, il capo ghibellino condannato al sepolcro di fuoco perché “epicureo”, mi faceva ardere di passione politica. E civile. Mi faceva sentire come, nella vita, si dovesse “prendere parte”, essere faziosi anche. E che, però, non si doveva mai perdere di vista una dimensione superiore. L’appartenenza ad una… patria (che termini desueti e politicamente scorretti, vero?).
Le lacrime di Paolo, le parole dolenti di Francesca, evocavano la passione dei sensi, la ragione, e le convenienze, sottomesse al “talento”. Al desiderio…
E Capaneo trasmetteva il senso titanico di rivolta contro il destino. Anzi contro Dio stesso. Blasfemo, certo. Ma l’immagine di chi non si piega al fulmine e alla pioggia di fuoco…beh, ha una grandezza che, o la senti, o nessuno te la potrà mai spiegare. Né il Sapegno, né il Petrocchi, per citare solo due commentatori…
E poi Casella. Il ricordo dei momenti felici, l’amicizia. La comunanza di amore per musica e poesia. Ciò che lega, a livello superiore, gli uomini fra loro. E Forese. L’amicizia velata di ironia. Di risate e bevute nelle bettole. Altra amicizia, rinsaldata, non erosa, dai sarcasmi reciproci..
E Sordello. Il riconoscersi in una tradizione viva, non astratta. In una comune appartenenza, al di là della lingua che si usa. Nella poesia…
Tommaso che narra le nozze di Francesco con Madonna Povertà. Il disprezzo degli averi materiali. La ricerca di ben altre ricchezze…
E l’orgoglio del sangue e della stirpe in Cacciaguida. E Giustiniano. L’idea di una identità che vada oltre il limite asfittico della città. Della piccola patria. Del popolo cui si appartiene per nascita…
In Dante, in quel Libro, c’è tutto. Almeno per me. Un po’ come la Bibbia per i vecchi quaccheri. Apro, spesso a caso, e leggo. E, spesso, trovo una risposta a ciò che mi frulla in capo. A ciò che mi tormenta…
Un oceano di storie. Di personaggi. Di avventura. Manfredi, biondo era e bello e di gentile aspetto, ma un dei cigli un colpo avea diviso…
Ciacco, la Pia dei Tolomei, Piccarda Donati, Vanni Fucci, Bernardo di Chiaravalle, Traiano, Rifeo….volti, nomi. Voci, soprattutto. Che vengono, certo, dal passato, ma risuonano presenti. Vive.
Su tutti un Nome, naturalmente. Un sorriso e uno sguardo. La cagione del Viaggio. La motivazione dell’impresa. Senza la quale la Commedia non sarebbe.
Beatrice.
Ma qui mi fermo. Su Beatrice e l’amore di Dante per lei si è scritto tutto e il contrario di tutto. E io, per altro, non sono un, dotto, “dantista”. Solo un ragazzo che è divenuto vecchio leggendo, e rileggendo, quella storia. E lasciando che continuasse a nutrire la sua fantasia. Null’altro.