“La chiave minore di Salomone” è uno, strano, libro del XIV Secolo. Forse anche più antico, per lo meno in alcune parti. Antichissimo, dicono alcuni, che lo vorrebbero risalire sino al Re di Israele, considerato uno dei grandi sapienti del passato. Soprattutto nel Medioevo. Ma questa è leggenda, che si confonde con quella massonica del rapporto tra lo stesso Salomone e Hiram. Il primo Maestro Muratore. Leggenda che cela un antico sapere, mi disse, un tempo, un autentico saggio. Del quale, però, i, cosiddetti, adepti sono oggi totalmente incoscienti. Ed al quale, per altro sarebbero comunque disinteressati. Ridotti ad una sorta di club per professionisti, affaristi, ricchi bottegai annoiati. Una bocciofila, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore…beh, lasciamo perdere…
Leggende. Però il libro è strano davvero. E difficile da interpretare. Perché mescola tre lingue. Greco, latino, ebraico. Un pastiche non insolito, tuttavia, nei, cosiddetti, libri sapienzali. Che, ogni tanto, riaffiorano da qualche piega, o anfratto, della Storia ufficiale. Per subito sparire. O venire risepolti.
Perché quegli strani volumi hanno un qualcosa che affascina. Ma, al contempo, inquieta.
Turbano le coscienze. Pongono domande fuori dagli schemi. E l’uomo odierno tutto vuole, tranne che essere turbato. Costretto, anche solo per un momento, a guardare un po’ al di là del suo ombelico…
Libri misteriosi. Scritture segrete. E indecifrabili. Quella Enochiana, che avrebbe celato la Lingua degli angeli. Almeno secondo John Dee, che credette, o volle credere, che il suo sodale, Edward Kelley possedesse davvero il libro che gli dava potere sugli angeli.
Strani angeli, per altro. Che giungevano dalla Finestra d’Occidente, ed erano sì creature di Luce. Ma della Luce del crepuscolo. Una Luce…incerta. Ingannevole.
Oh, certo. Uno storico avrebbe molto da ridire su questo. Sottolineerebbe che Dee era un matematico, un astronomo, un geografo. Favorito da Elisabetta la Grande. E, qualcuno insinua, molto più che un semplice favorito. E metterebbe in chiaro che la sodalità con Kelley, ciarlatano e truffatore, fu solo un episodio infelice. Un abbaglio.
Ma io non credo a questi storici, che pensano, con supponenza, di avere la verità in tasca. Preferisco credere a Gustav Meyrink. Che traccia ben altro profilo di sir John Dee. E anche del Kelley. Un medium, non un ciarlatano. Ma, appunto, medium di potenze oscure. O, meglio ancora, crepuscolari.
E poi la versione del grande, e visionario, romanziere di Praga risuona nell’estremo capolavoro di Shakespeare. La Tempesta. Perché, pur nella atmosfera fiabesca, il Mago Prospero altri non sarebbe che John Dee.
Ed un suo libro, misterioso, non scientifico, è conservato proprio nella Marciana. L’antica biblioteca di Venezia, nata sul lascito del Petrarca.
La Monade Geroglifica. Una copia cinquecentina. Che sarà lì, in una cripta chiusa, a raccogliere polvere. Insieme alla Steganografia del Tritemio. L’abate benedettino che utilizzava linguaggi segreti, per comunicare misteri. Lui che padroneggiava tutte le lingue antiche. E sacre. E che era amico di un altro “mago”. Enrico Cornelio Agrippa, autore del “De occulta philosophya, vel De Magia”. Il libro che insegnava tutto sugli angeli. Ed anche come evocarli. Un percorso, o meglio una catena di libri segreti. Che si snoda nei secoli. E affonda la sua radice (forse) nelle opere greco romane attribuite ad Ermete Trimegisto. Forse più indietro ancora. Sino alla Cina di Lao Tzu.
E che giunge, per vie contorte, alle allucinazioni di H. P. Lovecraft. Al suo, mostruoso, Necronomicon. Il libro dei Grandi Antichi. Che, certo, possiamo cassare come, geniale, invenzione letteraria. Parto di una fantasia alterata.
Eppure vi sono coloro che giurano che, in qualche biblioteca remota, quel Libro di Tenebra esista davvero. Ed anche qualcuno che perdura nel cercarlo.
Tanti anni fa, ho provato a leggere una edizione italiana – non so dire quanto fedele – della Monade di John Dee. Affascinante con i suoi teoremi (12 se non ricordo male) della conoscenza spirituale. Impostata come scienza esatta. L’ho letto. E non vi ho capito nulla. O ben poco.
Però era suggestivo, devo ammetterlo. Tenere tra le mani un libro che poteva essere stato dettato nella Lingua degli Angeli, non era come leggere un giallo di Rex Stout. Anche se, con quest’ultimo, mi divertivo sicuramente di più.
A volte, penso che l’immagine della Biblioteca di Babele, inventata da Borges, sia perfetta allegoria della vita. Sugli scaffali, infiniti libri. Che mai avrai tempo per leggere totalmente. Devi, forzatamente, scegliere. I più, si accontentano dei ripiani più accessibili. Libri di divagazione. Spesso superficiali. Anche stupidi. E tutto finisce lì.
Altri, pochi, frugano tra la polvere dei secoli. Mai sazi. E vanno indagando. I grandi libri. I capolavori.
Infine, in qualche stanza sigillata e segreta, ci devono essere questi libri. Misteriosi. Raggiungerli, significa cominciare a imparare la Lingua degli Angeli.
O, almeno, provarci.