Il teatro come un labirinto. La vita come teatro…la grande metafora di Shakespeare. E, ancora più esplicita e inquietante, di Pirandello.
Vi sono testi, opere, vite che sembrano essere irrapresentabili. Intraducibili in forma teatrale. Troppo…complesse. Intricate. Come certe storie. Esistenze.. Eppure….
La sera è leggermente nuvolosa. Però non fa freddo. Anzi. Una sera tiepida, un autunno dai colori intensi , e dalle temperature…morbide.
Il Teatro di Pergine. Una riduzione per la scena di uno dei più incredibili, fantasmagorici, romanzi del ‘900. Un classico, ormai, della letteratura russa. “Il Maestro e Margherita” di Mikhail Bulgakov. Storia di ispirazione goethiana: il Diavolo, il destino. Sullo sfondo di una Mosca sovietica, dei manicomi dove venivano rinchiusi gli intellettuali dissidenti, i grigi palazzi dell’architettura staliniana.
Romanzo russo. Ma anomalo. Perché Bulgakov riesce a conciliare una profondità drammatica ereditata da Dostoevskij e Gogol, con una leggerezza di tocco, un’ironia mai acre, uno scintillare dei dialoghi che richiama l’amato Goethe. Filtrato, però, attraverso le avanguardie del ‘900. Il Futurismo, che ebbe in Russia la sua seconda patria. Il surrealismo di Breton. E elementi di espressionismo. Quelli maggiormente ripresi in questo adattamento teatrale, con la regia di Chiara Benedetti e Giuseppe Amato,
Un azzardo. Risolto con un gioco di echi e suggestioni, luci e voci, musica, danza e parola. Evocando il senso profondo del “Maestro e Margherita”.. Non senza contaminazioni con “Romanzo teatrale”, altra opera dello scrittore nativo di Kiev. Che ben chiarisce la visione della vita come spettacolo. Un tessuto di frammenti di destino, apparentemente contraddittori, che solo nel finale giungono a ricomporsi.
E il teatro diventa movimento. Dal grande atrio ai sotterranei dove si attorcono, come giganti anguiformi, i tubi delle caldaie. E su per il dedalo di scale, una geometria che sembra disegnata da Escher, sino al sottotetto e ai suoi cunicoli. Che guardano sul palco. A una distanza che pare abissale.
L’opera di Bulgakov diventa un mosaico di emozioni e pensieri. E prende vita innanzi ai nostri occhi.
Una scommessa. Un azzardo. Vinto, dal direttore del Teatro, Denis Fontanari, che ha voluto questa produzione. E che, per altro, interpreta con efficacia il, delirante, personaggio di Ivan. Il poeta.
Usciamo. Negli occhi tante immagini ancora. Nelle orecchie tanti suoni. Tante parole. Dette e sottaciute.
L’aria è più fresca. Ha un lieve brivido.
“Sai…” mi dice “In fondo, a ben vedere, è una splendida storia d’amore…”
No, rispondo. È molto di più. È la storia, forse la spiegazione dell’Amore. Assoluto.
Mi sorride.