E dopo maiale, Majiakovsky, malfatto, continuarono gli altri…sino a leggermi Matto…
Fabrizio De André. Antologia di Spoon River, il suo disco più suggestivo. Almeno per me… Il Matto. Oggi mi continua a frullare nella mente.
E, come spesso mi accade, è la parola che continua a ronzare, a tornare come una sorta di eco… Matto, matto, matto….
Forse è una corruzione, medioevale, del latino Maccus. Che voleva dire stolto, sciocco. Stupido.
Era una maschera dell’Atellana, Maccus. Lo sciocco sempre affamato. Famelico. Di una voracità incredibile. Come, per altro, Eracle, in alcune commedie greche. In cui l’eroe assumeva vesti comiche. Perché i greci, molto più dei severi romani, con gli Dei avevano un rapporto…confidenziale.
Maccus era uno dei caratteri dell’Atellana. E non a caso Plauto, prima di divenire il genio della palliata, la commedia colta e raffinata derivata da quella alessandrina, vi aveva recitato. Lo chiamavano Titus Maccus. Era il personaggio che, evidentemente, interpretava. Da lì, dall’Atellana gli deriva il gusto per la battuta salace. Per la fabula sfrenata. Oscena. E l’Atellana, appunto, era giunta a Roma portata dai vicini Osci…
Sia come che sia, il Matto è divenuto figura paradigmatica. Nella vita oltre che nel teatro. È per lo più una figura strana. O meglio stramba. Che gira per il paese, il villaggio, anche il quartiere (dove ancora i quartieri esistono) con fare stralunato. Fa discorsi assurdi, anche se non privi di una loro logica. Appunto, tutta loro. Ché ciò che connota il Matto non è l’assenza di pensiero. Non è un semplice demente, un alienato incapace di ragionare. Anzi ragionare ragiona. Fin troppo. E a modo suo. Come il personaggio della canzone di De André. Voleva sapere tutto. Voleva sapere troppo. Si fosse fermato ad una conoscenza specifica, settoriale, banale…sarebbe diventato, magari, un professore. E avrebbe scritto libri ponderosi, Seri.
Non che i Matti libri non ne scrivano. Anzi. Alcuni ne scrivono a josa. E di belli. Tant’è che Jones, allievo di Freud, ha scritto pure un saggio sulle produzioni letterarie degli psicopatici… Oddio, non che lui, poi, fosse proprio normale…era un gallese, geniale e attaccabrighe. E si dovette fare molti processi con accuse…beh, diciamo per vicende sessuali. Ad onor del vero fu sempre assolto. Ma la sua vita privata fu alquanto…movimentata.
Comunque è vero che i matti amano scrivere libri. Anche se, per lo più, scemenze senza capo né coda. Non diversamente, per altro, da molti sani. Anche di successo. Però qualche matto ha scritto un capolavoro. E qualche grande della letteratura era un matto fradicio.
Dino Campana trascorse in cliniche per alienati parte consistente della sua vita. E, alla fine, decise di sua volontà di restarvi sino alla morte. Sognò viaggi oceanici, sino a Montevideo. Forse solo sogni, a quanto dice Ungaretti del suo amico. Però i Canti Orfici restano una delle opere di poesia più intense, e straordinariamente evocative, magiche, del nostro ‘900.
Matti erano alcuni grandi della pittura. Van Gogh. Leggete la biografia di Giordano Bruno Guerri. La si divora. Come un romanzo. E matto “patoco”, come si dice dalle mie parti, era Ligabue. Il Van Gogh della Bassa Padana…la pittura di entrambi nasce da un modo di vedere le cose. Un modo diverso. Nessuna astrazione teorica, come i cubisti. Il loro, era il punto di vista del matto. Tutto qui.
Il Matto vede le stesse cose degli altri. Ma le vede in una diversa luce. E dà loro una ben diversa importanza. Quello che per tutti è importante, le, cosiddette, cose serie, per lui conta poco. E, all’opposto, diventano ai suoi occhi fondamentali delle inezie. Che per gli altri, per i sani di mente, non contano. O sono addirittura invisibili.
Il Matto rappresenta un qualcosa di instabile. Di fluttuante. In continuo mutamento. Tant’è che proprio questo significa nel gioco dei Tarocchi. Può valere tutte le altre carte. È mimetico. E nella divinazione preannuncia la trasformazione . In bene se esce dritta. In male, se rovesciata.
Nella mia vita ho spesso incontrato dei matti. Matti veri. In circolazione grazie alla, famosa, legge Basaglia. Franco Basaglia era uno psicanalista selvaggio. In certo qual modo un matto pure lui. Convinto che non si potesse distinguere fra malattia e salute mentale. Non a caso stava a Trieste. E Svevo nella sua Coscienza di Zeno, diceva all’incirca la stessa cosa. Siamo tutti malati…e chi sa di esserlo, in fondo è meno malato di altri. Che, poi, è una delle possibili declinazioni di Schopenhauer…. Insomma, il Basaglia tutti i torti non ce li aveva. In linea teorica. Poi, nella pratica, quella legge fu un disastro…
Però io ho conosciuto, da ragazzo, dei matti davvero interessanti. Che ti parlavano di filosofia, e del senso o non senso della vita, in modo molto più originale, e profondo, di tanti professoroni…capaci solo di fare i pappagalli dei grandi del passato. In fondo, a ben pensarci, Nietzsche era anche lui un matto. Di genio. Finito ad abbracciare, in delirio, un cavallo… Forse gli aveva ricordato il Cavallo dipinto dal Caravaggio. Che quanto a salute mentale, anche lui…
E poi, diciamocelo chiaro. Almeno fra noi. Ma in questo mondo dove ci sono quelli che viaggiano soli in auto con la mascherina, che girano con i tamponi fai da te nel taschino, che credono a quello che gli racconta la Tv, e pensano (si fa per dire) che Zelensky sia un santo, Biden un grande Statista e Draghi il salvatore dell’Italia…insomma, in un mondo in cui questa è la normalità… non sarà, forse, che il matto abbia ragione?
O meglio, che la verità, o almeno la saggezza stia nel suo, particolare, punto di vista?
Comincio sempre più a capire la scelta di Dino Campana…