“Sono a Malaga.” mi dice al telefono F., la mia collega ed amica “Oggi siamo andati al mercato. E abbiamo mangiato lì. Pesce… ottimo .” Poi soggiunge “Il Mercato è affascinante… Ti ricordi chi ha detto che per conoscere davvero una città devi conoscere il suo mercato?”
La domanda continua a frullarmi in capo. E faccio anche qualche ricerca su internet. Ma…niente
Non trovo. Non chi abbia detto davvero quella frase. Però…
Però altri echi, altri frammenti si vengono affastellando.
Un’immagine, soprattutto.” La Vucciria” di Guttuso. Forse l’unico quadro del pittore siciliano che mi abbia davvero colpito. Perché, certo, bravo era bravo…ma i suoi temi, quel realismo stralunato, quei colori troppo materici, mai mi hanno davvero convinto…non mi sono consonanti. Tutto qui…
Ma “La Vucciria” il grande affresco su tela del Mercato di Palermo, è tutt’altra cosa. Vi si sente fremere, anzi brulicare la vita. Una vita tutta materiale, viscerale. Corporea. Riesce a trasmetterti gli odori. Tutti, anche, forse soprattutto, quelli legati alla decomposizione. È qualcosa di basso, forse. Viscerale. Eppure potente.
È un Mercato, quello dipinto da Guttuso, che resta fuori dal tempo. Potrebbe appartenere a qualsiasi epoca. Solo gli abiti di alcuni figuri evocano una atmosfera novecentesca.
Fuori dal tempo, ma non dallo spazio. Perché i colori, le sensazioni che trasmettono, sono inconfondibili. Mediterranee.
Non doveva essere diverso il Mercato di Napoli, descritto a rapide pennellate da Boccaccio in “Andreuccio da Perugia”. Una novella ebbra, un bel po’ folle. Ma dal forte impianto realistico. E con una topografia, una descrizione degli ambienti accurata, come spiega Benedetto Croce.
In Boccaccio, il Mercato diventa il ventre oscuro della città. Che cela i suoi segreti. La sua, multiforme, umanità. Luogo di illusioni e splendore. Di finzioni e inganni. Affascinante. E, a suo modo, pauroso.
Ho letto, molti anni fa, che Carlo Emilio Gadda, quando lavorava al suo “Pasticciaccio”, era solito aggirarsi per ore per i mercati popolari di Roma. Lui, lombardo, anzi Gran Lombardo, si immergeva così nella parlata romanesca. In scene che sembravano balzare fuori dalla mitologia popolare della città. Quella che ha prodotto Meo Patacca, il Conte Tacchia. Rugantino…
Da lì l’invenzione di un linguaggio narrativo di straordinaria efficacia. E personaggi, e situazioni…Che molto devono alle passeggiate dello scrittore per i mercati cittadini.
Il mercato è “il ventre della città” come dice il titolo del romanzo “Il ventre di Parigi” di Emile Zola. Il suo romanzo più vero ed intenso. Molto più di “Germinale”. Perché, qui, scava nelle profondità della metropoli. Nel suo ventre oscuro, appunto. Con quel sentore di pesce putrido che rivela passioni torbide, amori clandestini, gelosie… Sesso, politica, e morte. Oscurità da cui emergono, però, lampi di luce. Sogni. Ideali.
Il Mercato è il paradigma della città. Ne rivela l’anima, o, se vogliamo, il lato oscuro. Quello dell’ombra. Così come le grandi chiese, il duomo, i luoghi sacri, ne mostrano la luce. I due aspetti non possono venire separati.
Ricordo ad Atene. Molti anni fa. Era agosto. E la capitale greca…un inferno di caldo umido e afa. Salendo alla Acropoli, sotto il sole, mi girava la testa, protetta da un Panama bianco. Avevo addirittura le visioni… mi sembrava di passeggiare con Pericle. Con Fidia. Con Ictinos, l’architetto del Partenone.
In cima, un venditore di limonata ghiacciata. Faceva affari d’oro, con prezzi da strozzo. Gli lasciai molte dracme.
Poi scesi all’Agorà. Gli altari degli eroi. I luoghi dell’assemblea. Le rovine, dove mi sembrava di sentire ancora Socrate porre domande capziose. E Demostene scagliare invettive.
Infine… entrai nella Plaka. Il grande Mercato. Sospeso fra l’Europa e l’Asia. Un caos di gente, profumi, odori. Colori. E fu solo lì che, per un attimo, compresi davvero l’anima della Grecia. Perché l’Acropoli è il suo Empireo. Remoto e irraggiungibile. Ma la Plaka il suo ventre. L’abisso senza fondo che ha, nel magma, fuso la civiltà del Mediterraneo.
Sensazioni simili e diverse. In altri anni. A Sofia. Città che mi è particolarmente cara. Sofia è un altro luogo magico. Un incrocio, anzi un intrico di strade. Echi asburgici e mitteleuropei. La grandiosità della Russia zarista. La moschea e il dominio turco. Le rovine di Ulpia Triana…
Avevo girato per giorni, affascinato. Ma nulla è paragonabile all’incantesimo del grande Mercato. Merci di ogni tipo. Cibi. Gente che mangiava ai banconi. Stoffe. Tappeti. Spezie…ricordo, in particolare, un banco di pantofole, o meglio babbucce ricamate a mano. Roba da Mille e una Notte….
Sofia, anzi la Bulgaria era tutta lì. I Traci dai rossi capelli. Gli slavi, i romani e i turchi. Le influenze di Bisanzio….un affresco vivente, fuori dal tempo ordinario.
Sì…conoscere il Mercato è davvero conoscere, in profondità, la città. Ma, dannazione, non riesco proprio a venirne a capo. Cerco, cerco…ma chi abbia detto quella frase citata da F. proprio non lo trovo…