“La poesia […] può essere un messaggio nella bottiglia gettato a mare nella convinzione che esso possa un qualche giorno essere sospinto a una spiaggia, alla spiaggia del cuore, magari”
Questa frase proviene dal discorso tenuto da Paul Celan in occasione del conferimento di un premio letterario a Brema. Paul Celan, al secolo Paul Antschel, nasce a Cernowitz in Bucovina nel 1920. La Bucovina è una regione che si trova tra la Moldavia e la Romania, ed è stata fin dall’inizio della sua storia una terra contesa, vittima di guerre continue di conquista tra l’impero Austriaco e l’Impero Russo. Questa regione, che Celan definirà un crocevia di lingue e culture diverse, avrà sempre un’importanza cruciale nella vita e nella poetica dell’autore, così come la sua prematura separazione dagli affetti natali, a causa dell’inizio della seconda Guerra mondiale. Celan, nato da famiglia askenazita, vedrà morire entrambi i genitori nei campi di concentramento e sarà costretto a lasciare la sua città.
L’espressione “messaggio in bottiglia” riferita alla poesia non è tuttavia un’invenzione di Celan, ma è stata coniata da un poeta acmeista (corrente letteraria antitetica al simbolismo) russo Osip Mandelstam, che nel 1938 troverà la morte in un gulag, durante gli anni delle purghe staliniste. La sua storia e la sua condanna vengono raccontate in maniera più esaustiva dal premio Nobel Iosif Brodskij nel suo libro “Fuga da Bisanzio”, in particolare Brodskij racconta degli avvenimenti successivi alla sua morte, ovvero tutti i tentativi della moglie, anch’essa poetessa, Nadezda Mandelstam e della fedelissima amica Anna Achmatova, che di certo non ha bisogno di presentazioni, di far luce sulla morte di Mandelstam, e di condannare attraverso la parola tutti coloro che hanno taciuto sulla sua scomparsa.
Celan conobbe la poesia di Mandelstam grazie ad un libricino di poesie tradotte in inglese, chiamato La Pietra (Kamen). Subito se ne innamorò, scrisse diversi saggi brevi sulla sua figura e la sua poetica, tradusse alcune sue opere. Il motivo della sua fascinazione nei confronti di questo autore risiede sia nella sua poetica, a lui molto affine, sia la sua vita. Secondo Celan la poesia doveva scaturire dall’insieme delle esperienze vissute, dalla propria creaturalità (prendendo in prestito un’espressione di Walter Benjamin). La somiglianza dei tragici eventi che i due hanno vissuto lo avvicina ancora di più a Mandelstam e lo porta a pensare che a causa del loro bagaglio di esperienza, percepiscano il mondo dallo stesso angolo di osservazione, e che quindi lo riportino su carta in modo molto simile. Entrambi poi condividono l’idea che la poesia sia un’arte dialogica e non monologica.
Nel 1951 lo scrittore espressionista tedesco Gottfried Benn tiene una conferenza a Francoforte, davanti ad un auditorio misto, composto da studenti e da accademici, tra i quali figura anche Theodor Adorno. Con quel famoso discorso Benn rivendica la sua poesia, come arte monologica, fine a se stessa, che non cerca il dialogo con il pubblico, che vive di pura forma e rifiuta il contenuto. Una poesia astorica, slegata quindi dal discorso storico e attuale, che condanna ogni legame con la realtà, dove i valori sono decaduti o non sono mai esistiti. Non è un caso che Benn sia stato uno dei maggiori interpreti del Nietszche della Gaia Scienza e dell’Umano troppo Umano, era a tutti gli effetti un nichilista Turgeneviano. Si allontanava dalla realtà per crearne una nuova, un mondo fatto di parole, che non cercava l’approvazione del pubblico o di raggiungere i gusti delle masse, ma viveva di se stessa.
Dall’altro lato c’è invece la poesia dialogica, del messaggio nella bottiglia, che ricerca invece il contatto con il pubblico, una relazione concreta. Non si pensi però che la poesia di Mandelstam e Celan cercasse disperatamente di piacere ai lettori, il messaggio in bottiglia non era un’imposizione ma un invito ad immergersi sino in fondo in questa letteratura, mettere in dubbio o criticare anche quanto si leggeva. Questo intento si realizza nella tematica scelta, la poesia di Celan verterà quasi esclusivamente sul tema della SHOA e della questione della colpa tedesca, che durante gli anni dell’era Adenauer non ebbe grande visibilità, e si realizza nel linguaggio con il quale esprimere questi temi. La lingua tedesca era infatti insufficiente per questo fine, aveva attraversato da poco un periodo di transizione durante gli anni del dodicennio nero, dove, citando una famosa frase di Adorno, “la carta si era macchiata del gergo propagandistico del nazionalsocialismo”, e doveva quindi purificarsi ed evolvere. Così inventa un linguaggio nuovo, fatto di espressioni inafferrabili, tanto labili e sfuggenti quanto concrete.
È un linguaggio che cerca e cercherà sempre un varco per raggiungere il cuore delle persone, ma forse questo varco ancora non l’ha trovato.
“scorse giù alle urne di chi è custode un detto
Che al cuore di nessuno trovò un varco”