Devo confessare una cosa. A me Garibaldi, Giuseppe Garibaldi intendo, sta simpatico. E molto.
Posso immaginare che, ciò detto, i miei amici venetisti, e altri borbonici, abbiano fatto un salto sulla sedia.
Come? Quel Garibaldi massone al servizio degli inglesi… Quello che ha distrutto il bel Regno di Napoli… Quello che con i suoi briganti in camicia rossa ha fatto danni dalla Sicilia al Trentino? Quello ti sta simpatico?
Sì, mi sta simpatico. Non però il Garibaldi delle immagini oleografiche da Libro Cuore, non quello della retorica patriottarda e risorgimentalista,… Non quello idolo delle varie obbedienze massoniche… E neppure quello socialistoide caro ai nostalgici del Fronte Popolare..
(e qui, immagino, salteranno sulla sedia altri amici. Di tutt’altro segno. Che ci volete fare… Il mondo è bello perché vario. E quello della, ormai defunta, destra italiana è un vero caleidoscopio…)
Vediamo allora di spiegarci.
A me le icone dei Padri della Patria sono sempre piaciute ben poco. Certo, molto più dei santini dei, cosiddetti, Padri di codesta Repubblica, Costituzione, Democrazia…ma per questo ci vuole ben poco. Figure, ormai, buone solo per il Museo delle Cere. E sono generoso.
Ma i quattro del Risorgimento sono altra cosa. Con tutti i loro, molti, difetti. Anzi, forse proprio per questi difetti. Che sono grandi. Ma grandi davvero… Certo, le vecchie e stinte icone, ci dipingono un Vittorio Emanuele a cavallo con la spada sguainata, un Cavour allo scrittoio che tesse le politiche che porteranno alla Unità. E un Mazzini in marsina, cupo e pensoso. Austero.
E lasciano in ombra la passione del Conte Camillo per la buona tavola, con una vera ossessione per i gianduiotti. Per il barolo. Per i buoni sigari. Tanto che ne inventò uno, che ancora porta il suo nome. E mi taccio sulle sue altre passioni. Per ballerine e cantanti. Di cui il, religiosissimo fratello maggiore, si lamenta in una lettera al suo maestro, il grande Antonio Rosmini. Dove paventa per il Camillo la dannazione eterna. Del re mi taccio. Perché della vita, diciamo così, birichina di Vittorio Emmanuele si è detto, e scritto anche troppo. Era un sanguigno. Passionale e sensuale. Sia che andasse alla carica alla testa degli zuavi, sia che inseguisse contadine nelle sue tenute. Poco riflessivo, certo. Ma di Italo Amleto la dinastia ne aveva già avuto uno. Carlo Alberto, suo padre. Bastava e avanzava…
E Mazzini? L’austero. Il pensatore morale. Più grande , in verità, in questo ambito, che in campo politico. Dove, sinceramente, non ne azzeccava una. E se fosse stato per le sue iniziative, a Napoli vi sarebbe ancora un Borbone, a Firenze un Asburgo Lorena…e sotto molti punti di vista non credo sarebbe un gran male…
Ma come filosofo Mazzini fu grande. Tant’è che Gentile fa risalire a lui il più autentico pensiero filosofico nazionale. Andate a vedere “I doveri dell’uomo”. Un tempo si leggeva nelle scuole. Quando ancora esistevano le scuole…
Ma anche il Mazzini non era quel cupo bigotto laico che ci raccontano. A Londra fece strage di cuori tra le, romantiche, dame della buona società britannica. Tra queste anche la moglie di Carlyle. Che era un suo ammiratore e lo ospitava. E poi dicono l’Austero…
Ma Garibaldi era molto di più. Un avventuriero, stile Corto Maltese. Aveva navigato, e, in America Latina si era dato al traffico di armi. Alla pirateria sul Rio della Plata. Forse anche al commercio di schiavi.
Il “di Nizza il biondo marinaio” come lo dipinge il Carducci, ne aveva fatte più di Bertoldo in Francia. Senza remore. Basti pensare che, un giorno, scrutando dalla nave il molo con il cannocchiale, vide una donna bellissima. E decise: sarà mia. Scese e la rapì. Era Anita.
Non che con gli anni, poi, sia cambiato molto. Avventuriero restò tutta la vita. I tentativi di Mentana e di Aspromonte, e, soprattutto, la difesa della Comune ne sono la riprova…
Ma insomma… a te piace dissacrare tutto. Buttare giù le statue dai piedistalli…
Beh, quello no. Quello lo lascio fare agli alfieri del politically correct. E ai loro, ottusi, zeloti.
Io mi limito a raccontare quello che si è messo in ombra. Per falsa retorica. E ipocrita convenienza.
Garibaldi, anche per me, è l’emblema della nostra unità nazionale. Una Unità, per inciso, che si poteva, forse, non fare. Non così almeno. Ma… Cosa fatta capo ha…e si deve trarre il buono da questo, ché certe nostalgie servono a ben poco.
Comunque, di questa Italia, con i suoi pregi e i suoi difetti, Garibaldi è l’emblema.
Ma lo è proprio perché gravido di contraddizioni. Di chiaroscuri. Lo è perché incarna una certa anima degli italiani. Furfantesca e coraggiosa. Indisciplinata e ribelle. Portata più alla sfida col coltello in mano, che alla disciplina e alla legge.
Erano così gli italiani che l’Italia hanno fatto. E, anche, quelli che a questa unificazione si sono opposti.
Un popolo che potrebbe avere come emblema anche il Passatore Cortese, o il ben più vecchio Ghino di Tacco. Ha scelto Garibaldi….
Comunque un popolo, o un insieme di popoli che avevano carattere. Un brutto carattere, forse. Ma carattere.
Oggi, la figura emblematica potrebbe essere un vecchietto con due mascherine, pantaloncini e canotta, che porta a passeggio il cane. Alle sei di mattina, in una città coperta di immondizia e mosche.
Con tutti i suoi difetti, preferisco l’Italia di Peppino Garibaldi.