Chissà perché nessuno chiede mai a Giuseppe Conte il motivo per cui la delega ministeriale ai servizi segreti e ai servizi di sicurezza non sia mai stata assegnata ad alcun ministro della sua compagine governativa?
È un fatto che il lider minimo abbia mantenuto nelle sue mani il controllo diretto dei servizi sia ai tempi del governo giallo-verde, sia nel corso del suo secondo esecutivo.
Le ipotesi possono essere almeno tre.
Non ne ha capito l’importanza: poco probabile.
Non si fida dei suoi ministri e in modo particolare della Lamorgese. Chiunque abbia visto almeno un film della serie James Bond sa che, nei paesi normali, è il ministro dell’interno a occuparsi, e a rispondere, degli 007 e del loro operato. Ma l’incarico non è stato affidato neppure a Lorenzo Guerini, ministro della difesa, che pure dovrebbe avere voce in capitolo per tutto ciò che riguarda gli apparati militari, di cui parte dei servizi segreti fanno parte.
Oppure, e ci pare l’ipotesi più plausibile, Conte ha compreso perfettamente che chi controlla i servizi controlla il potere. Il potere vero, quello fatto di informazioni riservate e di rapporti internazionali; di gestione dei dossier secretati e di stretti legami con le uniche forze capaci di dominare il sistema Italia senza dover rispondere se non a chi ne manovra, direttamente o indirettamente, l’operato. In più controllando i servizi si controllano l’apparato diplomatico, i rapporti con l’intelligence straniera, i vertici militari. E il tutto è coperto, come è ovvio, dal più stretto regime di segretezza.
Dopo aver smantellato l’esercito, per il timore che qualcuno potesse mettere in atto un colpo di stato, e dopo aver sparpagliato in giro per il mondo i pochi militari superstiti in decine di “missioni di pace” di cui nessuno sa nulla – ma che costano una barca di soldi; l’unico strumento che consente all’”uomo solo al comando” di gestire un potere autentico, diretto e svincolato da qualsivoglia controllo da parte degli organi elettivi o della magistratura, è tenuto ben saldo nelle mani del primo ministro e, forse, di qualche suo strettissimo collaboratore. E senza doverne rendere conto a chicchessia.
Ciò che stupisce è che nessuno, sia della maggioranza, sia dell’opposizione, gli abbia mai chiesto ragione di questa scelta. O forse son tutti convinti che la prima ipotesi che abbiamo formulato sia la più plausibile?
Resta il fatto che questo potere resterà nelle mani del lider minimo per chissà quanto altro tempo. Al referendum di metà settembre vinceranno i Sì; a quel punto ci vorranno tempi biblici per approvare una nuova legge elettorale e per ridisegnare i collegi. Morale: questo governo, e questa maggioranza, resteranno in piedi fino al 2023. Con buona pace di chi chiede elezioni subito.
E chissà se nel frattempo qualcuno chiederà ragione al premier del suo innamoramento della delega ai servizi segreti?