I dati, pessimi, resi noti da Unioncamere Piemonte a proposito dell’andamento dell’economia subalpina rappresentano un segnale preoccupante che va oltre i confini della regione del Nord Ovest.
Perché ad arretrare sono proprio i settori tradizionali dell’industria, quelli ai quali vengono destinate le risorse pubbliche. I settori che un tempo erano alla base dei distretti produttivi e che ora sono diventati “filiere” che prescindono dalla collocazione territoriale.
Dunque il settore auto è in crisi. E non è una novità, considerando le strategie fallimentari di Fca. Ma è entrata in crisi anche la componentistica auto, quella che si era svincolata dall’abbraccio mortale di Fiat per trasformarsi in fornitrice globale dei maggiori costruttori mondiali. Ed è in crisi il tessile biellese, storico distretto del bello e del ben fatto. L’Italia dell’austerità, del meticciato, del politicamente corretto non è più un modello di stile. Dunque anche l’abbigliamento Made in Italy non conquista più i consumatori di fascia alta nel mondo mentre i prezzi sono eccessivi per gli italiani sfruttati.
In difficoltà anche le produzioni destinate al settore aeronautico. E pure la chimica. Settori dove non conta il fascino ma la sostanza. Ed è evidente che si paga il livello non eccelso dei vertici industriali. Più attenti ai tagli, da far pagare ai lavoratori, che agli investimenti.
Una boccata d’ossigeno arriva, però, dall’agroindustria (che è diversa dall’enogastronomia). Soprattutto quella cuneese. Per decenni l’aristocratica Torino ha guardato a Cuneo come ai parenti poveri non proprio furbissimi. E la Torino attuale, radical chic, continua ad osservare Cuneo con sufficienza ed anche un po’ di fastidio. Ma Cuneo – intesa come provincia – cresce e Torino arretra.
La Granda investe e Torino taglia, diversifica mentre Torino insiste su settori decotti. Sono modelli economici ed industriali opposti, con risultati altrettanto opposti. Ed ovviamente la “scuola di partito” della Sorella della Garbatella ha scelto come docenti gli imprenditori del modello torinese, ha scelto come simbolo Marchionne il delocalizzatore.