Ditemi una cosa, cari electomagici. Però, ditemela rispondendo in piena sincerità. A voi questi mondiali piacciono? Non intendo riferirmi all’assenza di quei quattro mutandoni in azzurro, che potrebbe avere attenuato il vostro interesse: intendo proprio il divertimento, lo spettacolo.
Perché a me, le poche partite che ho visto in tv hanno clamorosamente annoiato, al punto che, dopo aver resistito un’oretta alla visione narcotica di venti tarme che fanno i passaggini avantindrè, più spesso all’indietro che in avanti, ho sempre spento la baracca.
Ammetto di non essermi mai eccessivamente appassionato di football: tengo all’Atalanta per ragioni anagrafiche, ho goduto per la vittoria dell’82, perché ero a fare la naja a Merano, in piena tamoccolandia, e suonare i Tedeschi era un po’ come suonare i tamocchi, ma niente di più. Mi sono simpatici Torino e Sampdoria, ma non saprei dirvi perché.
Tuttavia, rammento le poche partite che ho seguito in vita mia, con un certo piacere: velocità, aggressività, ricerca del goal, mi davano buone sensazioni.
Io gioco a tennis: è tutta la vita che gioco a tennis e credo di caprine un pochino. Ebbene, le partite di questi mondiali mi sembrano come quegli incontri di tennis in cui entrambi i giocatori sono dei bombardieri: i pallosissimi match tra due gigantoni di due metri che tirano botte a 220 all’ora, mettendone dentro tre su quattro.
Avete presente? Questi fenomeni del terzo millennio tocchettano, palleggiano, ritocchettano, lanciano, corrono, ma combinano poco o niente. Le reti arrivano solo su calci piazzati oppure su colpo di testa, perchè qualche difensore va a viole. E, come le partite di tennis tra bombardieri finiscono, invariabilmente al tiebreak, così queste finiscono, altrettanto invariabilmente, ai rigori: in entrambi i casi, per provare qualche emozione devi aspettare un paio d’ore. Il che mi pare una gabella troppo onerosa, per dieci minuti di adrenalina.
Se nel tennis, certe partitozze indigeribili nascono dalla compresenza in campo di due manovali della racchetta, con l’aiuto di racchette sempre più performanti e campi di gioco veloci, nel mondiale russo la mia sensazione è che prevalga la tattica sul gioco: gli schemi sui fondamentali, per parafrasare il basket.
Allenatori e giocatori sono più preoccupati di quadrare il cerchio che di gonfiare la rete altrui: è un gioco ad ammazzare il gioco, insomma.
Per cui, il centrocampo tesse una rete di passaggini e passaggetti in orizzontale, aspettando non si sa bene quale formidabile occasione: che, il più delle volte, non viene. Unica variante, le ripartenze avversarie, quando ti fai rubare la palla, oppure il passaggio a ritroso, verso il portiere, che rilancia lungo. Una, due, trenta, cento volte: sai che due maroni!
E la madre di tutte le meline, la sciropposa matrice di ogni tattica tocchettistica, è la Spagna: hanno vinto il vincibile, facendo a tocchetti. Solo che la Spagna aveva il vantaggio della primogenitura: giocava, cioè, contro squadre che erano impostate in modo diverso. Oggi, che quasi tutti spagnoleggiano, gli iberici sono tornati a casina bella, ma la loro soporifera eredità impazza su tutti i campi di gioco.
Perciò, prevedo, in un prossimo futuro, una significativa evoluzione delle regole calcistiche: le partite consisteranno soltanto nei calci di rigore e dureranno 15 minuti scarsi. Emozioni condensate, in due parole. Tutto il resto, d’altronde, è solo un lunghissimo e noiosissimo preambolo, costoso, faticoso ed inutile.
Il campionato durerà un pomeriggio: i mondiali un paio d’ore. E, anziché “Tutto il calcio minuto per minuto” ci sarà “Tutto il calcio in un minuto”, con buona pace di tutti.