Dedollarizzazione, nuove alleanze transcontinentali, rilancio dei vecchi accordi in America Latina, un ruolo crescente dell’Africa, pace tra storici nemici. Applicando alla geopolitica le parole di Giovanni Pascoli si potrebbe dire che “la grande proletaria si è mossa”. Il poeta si riferiva all’Italia che, purtroppo, è assente dagli attuali movimenti, troppo attenta ad ubbidire a Biden ed ai suoi scherani.
Una “grande proletaria” mondiale che non sopporta più gli Stati Uniti ed i vassalli europei, ma che vorrebbe fare a meno anche della Cina. Solo che non può. Deve dunque giocare di sponda con Pechino che investe ciò che gli atlantisti preferiscono spendere per giocare alla guerra altrui.
Però ai Paesi che vorrebbero creare una sorta di Terza Posizione geopolitica manca un elemento fondamentale: il soft power. E manca anche alla Cina. Un miliardo e quattrocento milioni di persone in Cina, altrettanti in India. Ma il loro peso sulle coscienze del resto del mondo è pari a zero o poco più. Hollywood, per cercare di attrarre Nuova Delhi nella propria orbita, ha premiato una musica da film indiana. Ma al di là della modestia musicale, non si può definire soft power indiano una gestione statunitense di un premio che è uno dei simboli dell’american way of life.
Non c’è la capacità di conquistare l’Europa con il richiamo alle comuni radici indoeuropee, con il ricordo di Alessandro Magno. E ci si rassegna ad essere descritti dai media atlantisti come feroci e retrogradi induisti che penalizzano i poveri musulmani. Poi basta spostarsi nei Paesi vicini e gli stessi media mostrano la ferocia dei musulmani che massacrano i cristiani. L’importante, in Occidente, è mostrare sempre e soltanto la ferocia altrui.
Con la variante, per l’America Latina, dell’indolenza. I messicani, per i chierici della disinformazione, sono pigri oppure criminali spacciatori. Gli argentini sono spocchiosi, fannulloni e amanti delle dittature. È la sagra del luogo comune, delle frasi fatte. I cinesi sono sfruttati in patria e sfruttatori in Africa. E così via, dal Vicino Oriente sino all’Indonesia, dal Venezuela alla Corea del Nord.
Descrizioni che mirano a suscitare odio, diffidenza, repulsione.
Però i Paesi bistrattati non fanno nulla per modificare questa percezione. Gli oligarchi russi in Occidente spendevano per champagne e mignotte, i cinesi si occupavano di affari, i qatarini acquistavano interi quartieri. Mancava, per tutti, una politica di investimenti per far conoscere ed apprezzare i rispettivi Paesi.
Senza illudersi sulla possibilità di arrivare ad una informazione corretta da parte dei media atlantisti. Ma puntando su iniziative per promuovere la cultura, la storia, le tradizioni. Evitando di rifilare balletti che non vengono né compresi né apprezzati. Ed evitando di imporre iniziative e manifestazioni accompagnandole con piagnistei e recriminazioni sul razzismo. Cercando, invece, di comprendere le strade più utili per raggiungere un pubblico vasto. Certo, sarà più facile per i latinoamericani, ma anche per gli altri è arrivato il momento di scoprire l’importanza del soft power.