Un milione di votanti per eleggere Elly Schlein alla guida del Pd. Sono pochi? Sono tanti? Pochissimi, se confrontati con i 3,6 milioni del 2007. Pochi, rispetto a 1,6 milioni del 2019. Tantissimi se si pensa alle scelte effettuate nel chiuso delle sacrestie di altri partiti che, quando decidono di ampliare la platea di chi decide, arrivano sino ai rispettivi cerchi magici.
Comunque la scelta della base del Pd è stata netta, in totale controtendenza rispetto ai circoli degli iscritti. E questo è probabilmente il segnale più importante. Magari anche preoccupante per altri partiti che non si arrischiano a confrontarsi con la propria base su temi quali la sottomissione ai voleri di Biden.
Il PD ha invece scelto il rischio e la base ha sconfessato il vertice. Oddio, un vertice ampiamente delegittimato dalla disfatta elettorale, dalle polemiche interne, da una nomenclatura imbarazzante per la mancanza di qualità. Non si poteva certo andare avanti con Serracchiani e De Micheli.
Dunque si è scelta la svolta. Che significa un riavvicinamento al movimentismo dei 5 Stelle ed un addio ai sogni di alleanza con i calendiani/renziani. Ma significa anche una bocciatura delle posizioni guerrafondaie della nomenclatura. Una posizione, quella contraria all’invio di armi al folle di Kiev, trasversale e maggioritaria nel Paese ma ignorata dai fans dei mercanti di armi e dai maggiordomi del petomane di Washington.
Non per questo il Pd in versione Schlein può ambire a rappresentare tutto questo mondo variegato di italiani stanchi di pagare le tasse per mantenere chi vuole la guerra mondiale. Perché, poi, emergono altre differenze sostanziali. È vero che la nuova segretaria ha improvvisamente scoperto che esiste un mondo del lavoro i cui problemi prescindono dagli aspetti sessuali. Ma la scoperta appare molto tardiva ed ancor più strumentale. E la sconfitta elettorale del PD alle elezioni politiche ed alle successive regionali è la dimostrazione lampante che le priorità degli italiani non comprendono i bagni separati per ogni fluidità sessuale. Non comprendono gli asterischi al termine delle parole per non discriminare i generi. Non comprendono le censure, i divieti di una battuta scherzosa e sdrammatizzante, la cancel culture, l’ossessione del politicamente corretto, l’imposizione del pensiero unico obbligatorio.
La sfida, in fondo, sarà questa. Spostare il movimentismo su temi reali o insistere nella costruzione di una società allineata ai dettami del ministero della Verità in versione lgbtqia+++. Scegliere di occuparsi dei veri problemi quotidiani degli italiani o tutelare solo i diritti di qualche minoranza sessuale.