Da parte della destra che potremmo definire identitaria, per non perderci nei meandri degli attributi, giunge nei confronti del Governo Meloni e della sua leader un mugugno continuo che si trasforma in una sorta di rumore di fondo, impedendo di cogliere nel bene e nel male i segnali politici che l’esecutivo in carica sta cercando di mandare. L’articolazione di questo fenomeno è abbastanza varia e va da un sarcasmo demolitorio, ripetuto con insistenza degna di miglior causa, alla costruzione di ragionamenti più utilmente critici, che riconoscono gli indubbi meriti meloniani – in primis quello di averlo raggiunto, il governo –avvertendo però la necessità di una svolta rispetto ad alcune defaillance.
I punti dolenti che la destra identitaria individua come più urgenti da sanare riguardano soprattutto la politica estera: dal deciso sostegno alla guerra in Ucraina, alla cosiddetta subordinazione all’atlantismo Usa-centrico, fino alla gestione delle politiche migratorie. Si mescolano come spesso accade, in queste osservazioni, ragioni e ingenuità. La politica di governo è arte del compromesso, che non ne rappresenta un male minore ma la natura stessa: si può raggiungere e conservare il potere soltanto sapendo intercettare in modo paziente il consenso, mantenendo l’equilibrio tra le infinite sfumature soggettive e oggettive di cui occorre tenere conto.
Al di là del merito, sul quale potremmo discutere per ore, la matrice principale del mugugno della destra identitaria è però sottilmente psicologico-politica. Soprattutto nelle posizioni più estreme, preconcette e pregiudiziali, che tendono a esprimersi in posizioni tranchant, nella proposta di buttare il bambino con l’acqua sporca. È o dovrebbe essere chiaro infatti, a chi li sostiene, che tale tipo di attacchi contro Giorgia Meloni non ha alcuna reale utilità riformistica e potrebbe solo divenire un eventuale elemento in più per puntare a un’assai improbabile crisi di governo. E che mandare a casa questo primo governo a trazione destrista vorrebbe dire, molto semplicemente, non averne mai più un altro, né migliore né peggiore.
Psicologicamente, possiamo inquadrare tale atteggiamento in vari modi. Il primo è la chiacchiera da bar, animata da chi presume di sapere sempre meglio degli altri come un certo lavoro si debba svolgere: mancano solo la recinzione, le ruspe e le braccia dietro la schiena, in questo caso gli attori sono una sorta di umarell. Il secondo è la mistica del ghetto che ha caratterizzato la destra italiana da sempre: andare al governo significa non poter più lamentare la propria emarginazione, fare le vittime, atteggiarsi a reietti, gridare al mondo l’esclusione da cui si è colpiti. Una modalità fondata su solidissime ragioni, ancora oggi valide rispetto, per esempio, ai grandi media, alla gestione del potere culturale, dove il progressismo nazionale mantiene una certa egemonia. Ma che, dopo l’insediamento dell’attuale maggioranza, è evidentemente uno sport troppo lussuoso e poco utile.
Al fondo c’è poi la recriminazione. Il mugugno per non aver ricevuto, dall’ascesa della coalizione oggi a Palazzo Chigi e nei vari dicasteri, alcun tipo di incarico, ruolo, vantaggio, prebenda, consulenza, poltrona. Per non essere stati, al di là delle ambizioni più concrete, ascoltati, sentiti, consultati, valutati e valorizzati: ma come, io sto qui a dire qualcosa di destra da decenni e ora non me la fanno ripetere nei palazzi del potere? Di nuovo, si mescolano ragioni e ingenuità. Molte critiche sarebbero utili da usare come enzima dei miglioramenti sicuramente necessari, ma il tono di lagnanza con cui vengono pronunciate induce i potenziali interlocutori a opporre un istintivo rigetto. E così restano sterili.
Questa sorta di opposizione interna, paradossalmente, è molto di destra, come abbiamo provato a dire, ma anche straordinariamente simile all’atteggiamento con cui le sinistre cercano di fare opposizione all’attuale governo. Dire che Meloni è serva degli americani, non abbastanza decisa nel contrastare i diktat europei, che ha tradito i suoi valori o i suoi elettori, che non fa nulla o abbastanza contro le migrazioni illegali e che è troppo benevola verso le migrazioni in generale, è speculare a dire che è ostile alla santa Europa ecologista e inumana, per malvagità intrinseca, contro i poveri e i cosiddetti disperati che cercano di giungere sulle coste italiane.